Le falle del sistema pensionistico italiano
Il sistema pensionistico italiano ha ormai dimostrato di non poter essere sostenibile. L’Inps chiude ormai da anni il proprio bilancio in negativo e per l’anno in corso si prevede un disavanzo economico di oltre 11 miliardi. Senza un continuo intervento di supporto attraverso la fiscalità generale la situazione sarebbe verosimilmente già precipitata. È quindi importante chiedersi il perché di tale situazione.
Troppo spesso la risposta viene cercata solamente in sprechi isolati o malagestione di qualche tipo che, seppur influenzando negativamente il quadro, probabilmente non bastano a spiegarlo appieno. È più credibile che oltre a questi aspetti bisogni considerare difetti ampi e strutturali del sistema. In questo senso, un primo grande difetto è dato dal fatto che, in Italia, il lavoratore non contribuisce per accumulare quella che in futuro sarà la sua rendita, ma per finanziare chi è già in pensione. Ciò espone il sistema ad una fortissima precarietà in tutti quei casi in cui cala l’occupazione, in quanto, variando in negativo il rapporto tra chi dà e chi riceve, non è detto che il sistema resti solvibile. Inoltre, un’organizzazione di questo tipo crea una forte distorsione nella percezione del sistema di diritti e doveri legati al mondo previdenziale. È abbastanza probabile che, tendenzialmente, l’opinione pubblica spingerà contemporaneamente sia per una riduzione dei contributi dovuti che per una massimizzazione della retribuzione futura, e un sistema in cui le due cose non siano strettamente e indissolubilmente legate finisce inevitabilmente col non far sorgere spontanea l’ovvia contraddizione. Ciò è quello che è avvenuto per molto tempo in Italia, in cui ampie fasce di lavoratori sono andate in pensione anche prima dei 40 anni, versando mediamente molto meno di quello poi ricevuto. Altro difetto di questa impostazione, voluta essenzialmente per motivazioni politiche e di consenso, è quello di rendere più difficoltosa una sana flessibilità in uscita, che sarebbe più semplice nel caso in cui ogni lavoratore accumulasse una propria quota, che poi gli verrebbe restituita in base all’aspettativa di vita al momento del ritiro.
Un importante passo che subito andrebbe fatto in questo senso sarebbe appunto quello di permettere ad ogni lavoratore di pensare in modo personale al proprio futuro pensionistico, anche affidandosi completamente al settore privato e coprendo tutto il welfare puro (ad esempio le minime o gli assegni di invalidità) attraverso una tassazione ad hoc. Ciò permetterebbe il fiorire di un’opinione pubblica più responsabile e informata, cosa per troppo tempo mancata, in quanto si andrebbe a creare un nesso più forte e concreto tra contribuzione e future speranze di ritorno economico.