Fase 2: aspettiamo che i contagi crescano di nuovo senza un piano preventivo?

La tanto attesa conferenza stampa del Presidente del Consiglio è giunta ieri sera intorno alle 20.30, con il consueto (questa volta, leggero) ritardo a cui abbiamo fatto l’abitudine. Si attendeva con una commistione di apprensione e curiosità il contenuto dell’ennesimo DPCM per venire a conoscenza dell’evoluzione delle misure restrittive in vista del tanto sognato 4 maggio. Come sappiamo, l’impianto della gestione non è mutato considerevolmente, ampliando di poco i motivi per cui è concesso fuoriuscire dalla propria abitazione e riaprendo un numero modesto di attività produttive e commerciali.

Il Governo aveva davanti a sé un bivio. La prima strada era quella della prosecuzione dell’isolamento in chiave stringente, come, se non più, di ciò che abbiamo vissuto dal 9 marzo fino ad ora: permanenza tra le quattro mura domestiche e contatti umani a distanza ridotti al minimo necessario. La seconda, all’opposto, rappresentata dalla riapertura di ogni settore e dal riavvio dei rapporti interpersonali, previa individuazione di positivi al virus con test a tappeto, salvo il divieto di affollarsi e con l’obbligo di mantenere le distanze, rendendo obbligatorio indossare i dispositivi di protezione per interfacciarsi col prossimo.

L’esecutivo, invece, pare non aver scelto né l’una né l’altra direzione, finendo per schiantarsi contro il muro di un confuso mixtum compositum. Se, infatti, in linea di massima, in medio stat virtus, in questa circostanza ci ritroviamo al cospetto di un impasto di ingredienti dal sapore spiacevolmente contrastante.

Vero è che, come abbiamo anticipato, questo nuovo decreto non segna l’avvio di una reale fase di convivenza col virus, ma permettendo finalmente a certi lavoratori di ricominciare la loro opera e ai congiunti di incontrarsi, timidamente indirizza verso di essa e crea sicuramente più occasioni di relazioni umane. Occorre, perciò, doverosamente mirando a una maggiore libertà ancora non conquistata, ideare un piano per scongiurare che il numero degli infetti torni disastrosamente a crescere facendoci ripiombare nel lutto, un piano che, al momento, possiamo giudicare come inesistente. A questo riguardo, è interessante riportare l’osservazione di Vittoria, laureanda in Medicina e Chirurgia all’Università di Torino, che si esprime con toni preoccupati sulla questione: «Non abbiamo un progetto. Non sappiamo come fare. Non è stata menzionata la sanità, la scuola, le fasce più deboli. Non sono stati menzionati piani per il contact tracing e per un’individuazione precoce del contagio in modo da bloccarlo. Non sono state date istruzioni per un migliore isolamento dei positivi, ordini ai laboratori per i tamponi, nuove normative e aiuti alle RSA. L’unica cosa che importa è chi apre e chi no. Come se invece di adattarsi ad una nuova normalità con ordinamenti chiari e precisi in modo da non saturare di nuovo gli ospedali e far morire delle persone, aprissimo qualcosa e aspettassimo solo il prossimo focolaio “per vedere come va”.
Le modalità di adattamento alla fase 2 sono lasciate al singolo quindi, ancora una volta, bisogna rimboccarsi le maniche e tirare fuori quella tanto decantata creatività in situazioni di emergenza che gli italiani possiedono. Questo fino al prossimo grido di aiuto, alla prossima emergenza, alla prossima inchiesta
».

Come leggete, la quasi Dottoressa è amareggiata da una gestione che lascia allo sbando l’organizzazione sul piano sanitario. Dopo mesi di strutture sature, personale allo stremo delle forze e migliaia di deceduti ancora non si è messa a punto una strategia da adottare su scala nazionale per individuare quanto più possibile gli infetti e gli immunizzati, per non lasciare al singolo medico, al singolo ospedale il compito di determinare come gestire la situazione e, soprattutto, per prevenire una seconda ondata.

Conte, nel corso della conferenza stampa, ha riferito di cosiddette campanelle soglia che, raggiunte, devono indurre ad allarmarsi e quindi a correre ai ripari, immaginiamo serrando di nuovo tutti in casa. Se questo è l’esito dell’impegno profuso dalla task force di esperti, viene da domandarsi se sia composta da qualche scienziato: che cosa vi è, infatti, di scientifico nel sedersi sulla riva del fiume attendendo che passino i cadaveri di nuovi morti da Covid-19, in questo caso non per assaporare l’azione del karma, ma per prendere coscienza che non si è fatto abbastanza dal punto di vista profilattico?