C’era una volta… La favola delle primarie
C’era una volta, in uno strano paese a forma di stivale, uno strano partito politico, il quale era nato da almeno due anime diverse che difficilmente riuscivano a convivere insieme. Le polemiche interne erano talmente tante che più che un partito sembravano sette in uno, non erano mai d’accordo su nulla. C’erano talmente tante correnti che si rischiava di prendere l’influenza a starci in mezzo.
Il partito utilizzava uno strumento al fine di far partecipare più cittadini possibile alla vita democratica, le primarie, ma queste creavano ogni volta dei problemi. Se i partecipanti erano pochi, se gli stranieri che partecipavano erano pochi, allora si diceva che erano state un flop e si attaccava il segretario; se i partecipanti erano molti, allora anche gli stranieri erano molti, allora probabilmente i voti degli stranieri erano pagati e si finiva, comunque, con l’attaccare il segretario. Il suddetto segretario ogni tanto si arrabbiava. «Basta – diceva – chi ha perso ha perso e chi ha vinto ha vinto». Nonno Bersani rispondeva «Zitto te che stai governando coi voti di Giolitti». E baffetto interveniva: «L’importante non sono le primarie, l’importante è perdere le elezioni principali, altrimenti si distrugge l’identità del nostro partito». E al segretario gli spuntava un altro brufolo sulla faccia, sapeva benissimo che prima o poi lo avrebbero fatto fuori, fare il segretario era davvero uno dei mestieri più pericolosi, finora nessuno era sopravvissuto tanto. Succedeva così, alla fine di ogni primaria: il vincitore non sapeva come andare avanti e perdeva, il perdente faceva cinquecento ricorsi, alla fine dichiarava di voler collaborare col vincitore ma dopo tre giorni andava col gruppo misto o fondava un nuovo partito del tutto inutile; i cinesi si lamentavano di non aver ricevuto i soldi; il grillo parlante parlava.
E tutti vivevano, comunque, felici e contenti, tranne i cittadini che non sapevano bene che cosa fosse successo.
Impegnata tra libri e scacchi, in movimento tra Padova e Torino, sempre con una forte dose di sarcasmo.