Febbre da commento: tutto fuorché approfondimento
Gennaio è un mese rassicurante. In quest’era d’instabilità e voucher, gennaio arriva sempre a riproporci piccole certezze: diete che non seguiremo e chiacchiere su Sanremo.
Sarà che dalle proprie radici non si scappa, sarà che Mamma Rai is watching you, ma ogni anno Sanremo riesce a catalizzare l’attenzione dell’Italia, e mai per i concorrenti. La prima polemica di quest’edizione è nata dallo spot: feti che cantano mentre le mamme incinte stanno ascoltando una canzone. Repentina è giunta l’indignazione del web, che ha sentito puzza di pro-life.
Mentre il piccolo Aristongate seminava il panico, sui giornali faceva capolino la notizia di un fatto accaduto in un cinema di Torino.
Una famiglia marocchina con membri sordomuti stava commentando una scena del film scambiandosi sms e sguardi, quando i gesti sono stati interpretati come segnali di complicità per un imminente attentato: gli altri spettatori hanno abbandonato la sala e hanno chiamato le forze dell’ordine, da cui la smentita dei sospetti. L’episodio ha suscitato dapprima imbarazzo, poi indignazione per la superficiale associazione donna con velo-terrorismo islamico.
Indignazione. Questa parola ricorre in due vicende che sembrano non avere nulla a che fare l’una con l’altra, a parte il fatto di aver suscitato un j’accuse collettivo.
E quindi? Non è giusto che l’opinione pubblica si scagli contro la tv che passa messaggi politicizzati o contro il razzismo?
Certamente. Il problema è il paradosso dell’opinione pubblica stessa, che critica senza senso critico.
L’euforia di poter commentare tutto e tutti sui social e la sfiducia verso la politica hanno creato una sorta di trasformazione Super Saiyan della chiacchiera da bar: con la smania di dimostrare che nessuno ci può più fregare perché internet ci ha liberato, scoviamo oscure dietrologie in qualsiasi fatto. E allora lo spot di Sanremo diventa antiabortista e gli spettatori torinesi necessariamente sporchi razzisti, laddove il primo è solo molto brutto e i secondi vittime della psicosi terroristica.
Ma il bello è questo: nella grande orgia di commenti e dita puntate, non si va mai oltre la superficie.
Si potrebbe discutere sul fatto che Sanremo sia lo specchio della gerontocrazia vigente o, ancora meglio, sugli effetti che la paura degli attentati avrà sul rapporto tra gli italiani e i loro compatrioti musulmani, invece no.
Nel dubbio, però, processiamo.
Dalla Bassa Bergamasca alla tentacolare Udine per studiare Mediazione Culturale. Mi guardo intorno e scrivo.