Il femminismo serve oggi più che mai
Quando dico di essere femminista le reazioni sono le più disparate: c’è chi mi considera una nostalgica di un passato che non ho mai vissuto, chi mi bolla come «comunista», chi mi mostra la sua approvazione, chi mi chiede quale significato possa avere il femminismo nel 2015, come se per il senso comune fosse un movimento vecchio, fiacco.
Queste righe vengono scritte, per pura coincidenza, il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Solo da gennaio a giugno di quest’anno in Italia sono state uccise 74 donne da uomini con cui avevano una relazione familiare o affettiva. Il Corriere riporta che «in Italia quasi sette milioni di donne hanno subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita. Praticamente una su tre nella fascia tra i 16 e i 70 anni». Sette milioni, una su tre. Senza contare i casi di stalking e/o di violenza psicologica e tutti quelli che non vengono denunciati.
Il femminismo, battendosi per la parità di genere, cerca di contrastare tutto questo orrore attraverso campagne di sensibilizzazione, l’istituzione di centri antiviolenza, di associazioni, di sportelli di aiuto, il dibattito parlamentare sull’istituzione di leggi come quella contro lo stalking e il mobbing, e così via. C’è poi anche la battaglia delle Femen, balzate agli occhi dei media per il carattere originale della loro protesta (scrivono i propri slogan sul busto e sul seno nudo), che vogliono cambiare l’immagine dell’Ucraina, spesso vista dall’estero come meta di turismo sessuale; o quella delle Pussy Riot, gruppo di giovani musiciste e artiste russe che si sono poste anche contro il regime di Putin (e due di loro sono state condannate a due anni di carcere).
In Iraq le donne yazide e quelle curde stanno combattendo da mesi per la loro stessa vita: una nota cantante folk, Xate Shingali, ha formato il battaglione delle «Sun Girls», composto da un centinaio di donne soldato, molte delle quali sono state stuprate dai guerriglieri dell’Isis o obbligate a sposarli. Ora vogliono vendicarsi, restituendo loro tutto il dolore.
In Afghanistan Zainab ha partecipato alla prima maratona non clandestina del suo paese ed è stata presa a sassate una volta giunta al traguardo, ma non ha mai smesso di allenarsi, seppur nel giardino di casa propria, perché «correre fuori non si addice a una donna».
Un’altra femminista, Malala Yousafzai, ha vinto il Nobel per la pace lo scorso anno per aver difeso il diritto all’istruzione dei ragazzi e delle ragazze nel suo paese, il Pakistan.
Uno dei pregiudizi legati alle femministe è la misandria, l’odio per gli uomini. Niente di più sbagliato. Una femminista lotta per i diritti civili di tutti, a prescindere dal sesso biologico, disprezzando chi, quei diritti, non li rispetta.
Le violenze, ovviamente, riflettono sempre una certa cultura, una certa mentalità, che ha condotto alla dominazione sulle donne e alla conseguente discriminazione.
Tuttavia la questione – con le dovute precisazioni – presenta anche un rovescio della medaglia, per così dire: per parità di genere infatti non si intende solo quella tra uomo e donna, ma anche quella, meno dibattuta, tra donna e uomo.
«Con le dovute precisazioni», dicevamo: perché nessun potenziale datore di lavoro verrà a chiedere a te, uomo, se hai intenzione di avere figli o di sposarti; rarissimi poi sono i casi di violenza sugli uomini, rarissimi i giudizi sulla loro vita sessuale. Sono solo esempi, riprenderemo la questione tra poco.
Anche le Nazioni Unite si sono adoperate per eliminare la disparità di genere, istituendo la campagna «He For She», presentata di fronte all’assemblea il 20 settembre 2014 dall’ambasciatrice e attrice Emma Watson. Nel suo discorso ha ribadito: «Penso sia giusto che io possa prendere delle decisioni riguardo al mio corpo. Penso sia giusto che ci siano donne coinvolte per mio conto nel processo politico e decisionale del mio paese. Penso sia giusto che mi sia dato lo stesso rispetto che è riservato agli uomini. Ma purtroppo posso dire che non c’è un singolo paese in tutto il mondo dove le donne possono aspettarsi di ricevere questi diritti. Uomini, vorrei sfruttare questa opportunità per farvi un invito formale. La parità di genere è anche un vostro problema. Perché ad oggi ho visto il ruolo di genitore di mio padre essere svalutato dalla società, nonostante io avessi bisogno della sua presenza tanto quanto quella di mia madre. Ho visto giovani uomini soffrire di malattie mentali, incapaci di chiedere aiuto per paura che la cosa li facesse sembrare meno maschi. Non parliamo spesso di uomini imprigionati dagli stereotipi di genere ma io vedo che lo sono, e che quando ne sono liberi, le cose cambiano di conseguenza anche per le donne».
Ecco il cambiamento di mentalità per cui lotta il femminismo. Le ragazze di oggi danno per scontate certe libertà che sembrano avere, senza rendersi conto di quanto questi traguardi siano provvisori. Lo scontro è ancora in atto.
Ecco un elenco di motivi per cui c’è ancora bisogno del femminismo:
Io, donna, ho bisogno del femminismo ogni volta in cui sui social network qualcuno commenta una mia foto con espressioni come «quanto sei cagna» oppure «escile».
Questi atteggiamenti vergognosi a volte escono dallo spazio virtuale: al Lucca Comics di quest’anno, il più grande raduno italiano di cosplayer e appassionati di fumetti e videogiochi, un tizio che credeva di essere spiritoso si è presentato così (lanciando croccantini):
Io, donna, ho bisogno del femminismo ogni volta in cui vengo giudicata per la mia vita sessuale e per il modo di gestire il mio corpo.
Io, uomo, ho bisogno del femminismo ogni volta in cui non posso mostrare la mia sensibilità o piangere perché se no sono considerato «una femminuccia».
Io, donna, ho bisogno del femminismo per tutte le volte in cui un uomo si sente autorizzato a palparmi il sedere o a toccarmi, benché sia uno sconosciuto o benché io non sia d’accordo.
Io, donna, ho bisogno del femminismo per tutte le volte in cui sono costretta a fare i lavori domestici mentre mio marito/il mio compagno/mio padre sta in panciolle.
Io, donna, ho bisogno del femminismo per tutte le volte in cui il mio stipendio è più basso di quello di un mio collega maschio.
Io, uomo, ho bisogno del femminismo per tutte le volte in cui un congedo di paternità mi viene negato perché accudire i propri figli è solo «una cosa da donne».
Io, donna, ho bisogno del femminismo ogni volta in cui mi viene detto che non sono «una vera donna» se affermo di non volere figli, come se fosse l’unico obiettivo della vita.
Io, donna, ho bisogno del femminismo per combattere contro lo stereotipo della donna perfetta, da copertina, e contro la sessualizzazione del corpo femminile, fin dalla più tenera età, perpetuato dai media.
La lista sarebbe ancora molto lunga, tuttavia a proposito dell’ultimo punto è doveroso segnalare il progetto della fotografa Kate T. Parker (vedi le due foto in bianco e nero), che ha immortalato le sue figlie e le loro amiche in quelle situazioni quotidiane in cui abbattono gli stereotipi di genere. «Strong is the new pretty» («Essere forti è il nuovo essere carine») è il motto che ha fatto il giro del web. Sperando che possa davvero essere l’inizio di una rivoluzione.
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Una sola domanda: quel tipo della foto ha un nome o si chiama solo idiota?
tutto giusto solo una cosa: ci sono anche uomini da copertina, la sensualità in sè se riferita a donne e uomini adulti non ha nulla di degradante o oggettificante.
Quanto alle donne da copertina: per stare bene bisogna solo accettare serenamente che esistono donne e uomini fisicamente più belli di no e non sule copertine ma anche nella vita reale