Feritoie: un giovane poeta visuale alla Biennale di Venezia
Un visual poetry artist: così si definisce Feritoie, al secolo Giovanni Vanacore. Il giovane fotografo e poeta campano, classe 1999, ha visto la sua carriera decollare con la partecipazione a ben due edizioni della Biennale Arte di Venezia. Feritoie si è fatto così portavoce di un’intera generazione che era poco presente alla manifestazione internazionale, raccontando sentimenti e vissuti comuni attraverso opere a mano a mano più complesse. Prima Anversa FS, una videopoesia, nel 2019, poi la videoinstallazione Autoritratto, apice della sua ricerca artistica.
Lei è nato come poeta, ha anche pubblicato due libri. Come ha coniugato la passione per la scrittura e quella per la fotografia?
Prima di scattare ho iniziato a scrivere. La scrittura è nata in maniera banale, per necessità, mentre cercavo di esprimere i miei sentimenti a una persona.
La fotografia è stata successiva. A livello concettuale, mi sono sempre sentito legato all’ambito fotografico, a vedere le cose, a cercare i dettagli, che è diverso dal notarli: il notare è un talento quasi inconscio, mentre la ricerca è proprio una scelta. A 20 anni, lasciai Lettere e Filosofia perché disilluso da quel mondo e cercai un’altra strada. Non abbandonai la scrittura, ma cercai comunque un mezzo di espressione differente e pensai che la fotografia potesse esserlo, e infatti è stato così. Adesso mi occupo di poesia visiva.
Sul suo profilo descrive la fotografia come «terapia, ribellione, ricerca». Cosa cerca di esprimere con le sue fotografie, quale messaggio vuole comunicare?
Come la poesia, vedo anche la fotografia come un mezzo di ricerca personale, qualcosa di terapeutico, che ti permette di stare bene attraverso un processo anche doloroso come una terapia. È poi ribellione contro un mondo che non vede nel dolore e nella fatica un mezzo per la gratificazione. La vera ribellione quindi è impegnarsi, voler cambiare le cose. Ricerca infine nei termini più artistici possibili: uno stile, un’estetica, approfondire le persone per cercare dei tratti che rientrano nella nostra versione di estetica. Se oggi c’è omologazione è perché le persone non ricercano la propria estetica, si accontentano di un’estetica superficiale o di imitare quella degli altri e finiscono per essere tutti uguali.
Cerca di esprimere questi concetti attraverso le foto di nudo.
Sì, io dico sempre qualcosa attraverso le persone, poi se queste sono nude tanto meglio. Tutti hanno una «tecnica del ritratto», sanno come mettersi in posa, qual è il profilo o il sorriso migliore. Nel momento in cui ti devi spogliare in un mondo che ci ha disabituato a spogliarci ti senti scomodo, ed è lì che diventi interessante. Sei interessante quando sei in difficoltà, perché devi reinventarti e riscoprirti. La nudità per me è un mezzo per indagare la persona.
Ha partecipato all’esposizione della Biennale nel 2019 e adesso nel 2022. Come si è sentito?
Alla Biennale Arte sono arrivato tramite il bando gratuito per gli under 35 di «Artefici del nostro tempo», nato con l’idea di svecchiare la Biennale.
L’ambiente artistico della Biennale è strano. Mentre cammini in quella diversità culturale immensa ti rendi conto che è veramente la metafora del mondo. In ogni padiglione trovi le opere ritenute più rappresentative per ciascun Paese. Io sono grato e ho apprezzato l’iniziativa di «Artefici del nostro tempo», perché dà la possibilità ai ragazzi di esporre e mostrare l’Italia dei giovani, non solo quella di un punto di vista «alto» come può essere un artista già affermato.
Ci parli della videoinstallazione presentata quest’anno.
La mia opera al Padiglione Venezia, Autoritratto, sostanzialmente coniuga poesia e fotografia: il fatto visuale sul mondo, in questo caso un po’ metafisico, si unisce a un verso, «Amo il mio silenzio, spesso non ho altro». La visual poetry è questo: un tentativo di rendere visuale quello che è il potere sotterraneo della parola, un potere che agisce dentro.
L’installazione è stata realizzata con il supporto di Matteo Trapanese e ha vinto il primo premio per la poesia visiva.
Quindi il mondo artistico sta cercando modi più immediati di comunicare con le persone.
Sicuramente è un obiettivo che tutti si prefiggono, cercano di non ricorrere a parafrasi per spiegare un’opera. Un’opera che rappresenta l’attuale generazione dovrebbe essere immediata, far sentire coinvolte, dentro, le persone. Questo è anche il motivo per cui in Autoritratto la mia immagine guarda dritto, perché volevo che l’opera guardasse negli occhi il suo spettatore, fosse in dialogo con lui.