Franco CFA, immigrazione e conflitto sociale dal basso
In questi giorni è spuntato all’attenzione dei più il tema del Franco CFA, specie dopo le dichiarazioni di Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
«Le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune». Queste parole sono di Thomas Sankara, primo Presidente del Burkina Faso dal 1983 al 1987, quando fu ucciso in colpo di Stato. Il nemico comune combattuto dai popoli europei e africani si chiama Neoliberismo. In Europa conosciamo la sua manifestazione mediante l’unione monetaria dell’Euro, coadiuvato dal contenuto dei Trattati europei ordoliberisti; in Africa, allo stesso modo, si destabilizzano l’economie delle ex colonie francesi d’Africa col Franco CFA, unione monetaria comprendente ben 14 Stati della zona centro-occidentale.
Aiutandoci con una cartina, possiamo suddividere l’utilizzo del Franco CFA in due zone distinte. La prima è detta XOF (Stati in verde) e vi appartengono: Benin, Burkina Faso, Guinea-Bissau, Costa d’Avorio, Togo, Niger e Senegal; la seconda è detta XAF (Stati in rosso) e vi appartengono: Ciad, Camerun, Gabon, Repubblica Centroafricana, Guinea Equatoriale e la Repubblica del Congo.
Queste due valute nacquero nel 1945. Esisteva ancora un controllo esplicito della Francia sulle sue Colonie e un decreto di De Gaulle mise in piedi la struttura di gestione. La denominazione del Franco CFA nasceva dal controllo francese, da qui l’acronimo di Colonie Francesi d’Africa, poi trasformato con l’apparente indipendenza in Comunità Finanziaria Africana.
Conosciamo molto bene la connessione che si crea mediante il controllo di una moneta, perché essa non è una semplice unità di conto, ma un’istituzione ed essendo tale, se non è controllata dagli Stati africani che dovrebbero apparentemente detenere pienezza di sovranità, si finisce in un territorio ambiguo di controllo con strumenti differenti rispetto al passato. Un controllo per vie differenti, un controllo neo-colonialista. Abbiamo diversi ricordi storici che legano un’unione monetaria al controllo. Tornando indietro nel tempo, prima dell’Anshluss all’Austria, i nazisti ragionarono anche sulla possibilità di sottomettere l’Austria non militarmente, ma semplicemente legandola a sé con un’unione monetaria. Ipotesi che poi tramontò. Sempre in Germania, la riunificazione tra Germania Ovest e Germania Est passò pochi mesi prima da un’unione monetaria, dove all’Est fu offerto il Marco Ovest, la moneta allora più forte del mondo. Una gran fortuna direte voi! una gran sfortuna, dico io. I dati economici sono lì per essere letti. Una rivalutazione monetaria del 350% portò, in un arco temporale dal 1989 al 1991, un calo della produzione industriale del 67% di produzione industriale, del PIL del 44% e un aumento della disoccupazione di 2 milioni di persone.
Con la nostra esperienza europea, abbiamo sperimentato la veridicità della teoria di Frenkel, laddove il soggetto forte dell’unione monetaria attrae le risorse finanziarie dagli Stati periferici, che entrano così in crisi. Se è vero che la moneta è uno strumento di controllo, interroghiamoci sull’importanza che possa avere la gestione di un’istituzione in quattordici stati africani interconnessi ancora al paese colonizzatore. L’Africa è la culla delle materie prime e il loro controllo è di fondamentale importanza. Una moneta dovrebbe prezzare i beni prodotti in un determinato territorio e crescere di valore in un trend collegato alla crescita economica dello Stato. Tuttavia, nel caso del Franco CFA abbiamo un totale scollamento, perché prima il nesso col Franco francese e ora con l’Euro distorce i prezzi dei beni finiti abbassando il valore delle entrate sulle esportazioni. Ciò porta a poter vendere sul mercato gran parte delle materie prime a prezzi eccessivamente bassi e ad avere un innalzamento del costo delle importazioni dei beni finiti. Già l’adesione all’Euro dell’Italia ha portato grossi svantaggi in termini di competitività, ma immaginatevi quanto questa distorsione possa essere forte in paesi sottosviluppati. Un sottosviluppo per sviluppo negato dal controllo altrui. Recentemente, Kemi Seba un attivista del movimento Panafricano è stato arrestato per aver strappato un Franco CFA in segno d’illegittimità.
Ma non basta! Ancora oggi, seppur con una percentuale calante dal 1945 a oggi, il controllo delle riserve valutarie degli Stati appartenenti alla Zona Franco viene gestito dalla Banca di Francia per la metà dell’intero ammontare. La medesima dinamica verificatasi tra centro e periferia nell’Eurozona, dove le risorse finanziarie si sono spostate verso il centro, principalmente Germania, ma anche Francia, questa stessa modalità accade tra Francia e Stati appartenenti alla “Zona Franco”. È la magia della libera circolazione dei capitali, sia in Europa che in Africa.
Quanto è legittimo un sistema nato in epoca ancora coloniale? Ogni volta che parliamo d’immigrazione dall’Africa, senza citare situazioni di neocolonialismo mediante politiche neoliberiste e controllo monetario con lo strumento del Franco CFA, stiamo solo mettendo in piedi uno scontro di basso livello tra presunti buonisti e presunti cattivi, laddove si dovrebbe puntare al nucleo del discorso: l’impossibilità di autodeterminazione. Non stupiamoci se proprio quei paesi rappresentano la culla dell’immigrazione che sfocia in Italia, frontiera europea. L’alta disoccupazione italiana sommandosi crea un conflitto sociale dal basso, terreno di scontro nel mercato del lavoro. Per il Neoliberismo l’immigrazione amplia i disoccupati, formando un’asta al ribasso su salari e diritti. La teoria del nemico comune di Sankara si dissolve in dinamiche sociali conosciute. Tutto si tiene.
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.