G8 di Genova: cosa accadde nel luglio 2001
Sono passati 15 anni esatti dalla conclusione del G8 del 2001 a Genova, ma quello che è passato alla storia non è tanto ciò che venne discusso durante il vertice internazionale, quanto ciò che è accaduto nelle piazze. È bene allora ripercorrere quei tre giorni e le conseguenze giudiziarie che ne sono seguite, perché ancora oggi molte questioni restano ancora aperte.
Fu l’aggregazione di movimenti no-global «Genoa social forum» il vero fulcro delle manifestazioni, con un media center alla scuola Diaz e un punto ristoro a Piazzale Kennedy. Per evitare disordini furono reclutati 15mila agenti tra forze dell’ordine ed esercito, sospeso il trattato di Schengen, e divisa la città un una zona rossa e gialla. I manifestanti decisero di organizzare tre incontri di piazza: giovedì 19 il corteo dei migranti, venerdì 20 le azioni dirette in occasione dell’apertura del vertice, sabato 21 il corteo internazionale. Tutto autorizzato dalla questura, che assicurò la presenza della pubblica sicurezza per garantirne lo svolgimento. Le azioni dirette del «Genoa social forum» furono due cortei, uno del sindacato di Base Cub, l’altro delle «tute bianche»; cinque piazze tematiche: piazza Dante, piazza Paolo da Novi, piazza del Portello, Boccadasse e Piazza Manin. Svoltosi pacificamente il corteo dei migranti, i problemi veri iniziarono il giorno dopo, nello specifico in piazza Manin e su via Tolemaide, dove i gruppi autorizzati (rispettivamente i pacifisti della rete Lilliput e le tute bianche) percorrevano il percorso stabilito. Molto si è detto anche nelle aule dei tribunali sulla disorganizzazione delle forze dell’ordine e sull’uso ingiustificato della forza, con tattiche militari inadeguate al mantenimento della sicurezza pubblica, che anzi hanno avuto un effetto opposto. Verso le ore 11 del 20 luglio iniziarono le prime azioni dei cosiddetti «black bloc» nei pressi del carcere di Marassi, ma entrambi i contingenti delle forze dell’ordine guidati da Mario Mondelli e Pagliazzo Bonanno, che dovevano recarsi lì su indicazione della centrale, finirono per incontrarsi e caricare i manifestanti autorizzati. Da questi e altri errori scaturiranno gli scontri del pomeriggio, che porteranno poi alla morte del giovane Carlo Giuliani, 23 anni. Ma non finisce qui.
Dopo la manifestazione del 21 luglio, tenutasi lo stesso dopo la tragedia del pomeriggio precedente, avvenne quella che passò alla storia come la «macelleria messicana» alla scuola Diaz, seguita dai fatti della caserma di Bolzaneto. Intorno a mezzanotte si attestarono nei pressi della scuola 250 agenti, che fecero irruzione pestando a sangue tutti i presenti, con l’intenzione di individuare i responsabili di un attacco ricevuto da una pattuglia fuori dal liceo. I procedimenti giudiziari aperti in seguito ai fatti furono principalmente tre: il primo, contro 25 manifestanti imputati di saccheggio e devastazione, apertosi il 2 marzo 2004, in cui le tesi concorrenti erano due: quella della procura, per cui le azioni dei manifestanti avrebbero messo in crisi l’ordine pubblico, e quella della difesa che ha utilizzato la stessa documentazione della procura (tra cui circa 800 ore di filmati), ribaltandone però le conclusioni, e attribuendo la causa degli scontri alla disorganizzazione delle forze dell’ordine. Il 9 ottobre 2010 si conclude il procedimento con il proscioglimento di 14 imputati e l’inasprimento di pena per gli altri 11, già in carcere. Nel 2012 la Cassazione conferma le condanne per due condannati su dieci, ma riconoscendo tutti responsabili. Il 6 aprile 2005 si apre il processo per la scuola Diaz alla corte d’Assise di Genova. Sono 29 i poliziotti imputati con l’accusa di falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e lesioni gravi in concorso; 93 le parti lese, cioè tutti i presenti nella scuola. Il processo di primo grado si conclude il 13 novembre 2008, ma il 18 maggio 2010 la corte d’appello ribalta la sentenza precedente che aveva assolto 13 vertici delle forze dell’ordine imputati e condannato altri coinvolti per reati che andavano dal falso all’arresto illegale. Il secondo grado inasprisce le pene e condanna Giovanni de Gennaro – assolto in primo grado e allora capo della polizia di stato – per induzione alla falsa testimonianza. Nel 2012 la Cassazione conferma tutte le condanne (25 in tutto). Infine, il 12 ottobre 2005 si apre il processo per i fatti avvenuti nella caserma di Bolzaneto, con 45 imputati di cui: 14 della polizia penitenziaria, 12 carabinieri, 14 della polizia di stato, 5 medici e paramedici. nel 2010, dopo una condanna di 15 imputati il 14 luglio 2008, la corte condanna civilmente 44 imputati, penalmente sono prescritti tutti i reati, tranne 7, che verranno confermati nel 2013 dalla Cassazione. La corte Europea dei diritti umani il 7 aprile 2015 ha condannato l’Italia sia per il pestaggio dei manifestanti (questa sentenza è infatti il frutto del ricorso di Arnaldo Cestaro, uno dei pestati nella scuola Diaz, all’epoca 62enne), che per il vuoto normativo del nostro ordinamento, il quale non prevede, ancora, il reato di tortura di cui molto si discute in questi giorni.
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