Genova: 10 anni di Teatro Necessario in carcere
Scatenati. Dieci anni di Teatro Necessario in carcere
Eliana Quattrini
il canneto editore — 2016 — 15 euro
«Il carcere ha come ruolo primario quello della rieducazione del detenuto per il reinserimento nella società, una volta espiata la pena. Questo orizzonte di senso, previsto dalla nostra legislazione, non è in genere accettato. Molti, troppi nel nostro Paese ritengono ancora che lo scopo del carcere dovrebbe essere eminentemente punito e che la punizione debba essere dura al punto da far sparire il condannato dall’orizzonte dell’esistente». Così spiega Moni Ovadia, nella prefazione di questo volume, la funzione che da 10 anni, dal maggio del 2006, svolge il «Teatro delle necessità» all’interno del carcere Marassi di Genova. Un vero e proprio edificio teatrale con tanto di compagnia stabile, un «evento di grande rilevanza civile», per citare Ovadia. In questo primo decennio di vita, il bilancio è senza dubbio positivo: 9 gli spettacoli realizzati, oltre 200 i detenuti coinvolti, 30mila gli spettatori. Fare teatro in carcere, come dice anche il nome, è stata una necessità: la nascita di una collaborazione fra detenuti, polizia penitenziaria, educatori e istituzioni pubbliche e private ha fatto sì che la necessità di fare teatro in carcere si trasformasse in realtà. Mirella Cannata, presidente dell’associazione Teatro Necessario, racconta: «Fin dal primo laboratorio teatrale ci siamo resi conto che il teatro non era soltanto utile al carcere bensì “necessario”, perché il detenuto attraverso il teatro vive la possibilità di formarsi un’identità positiva, di scoprire nuove potenzialità, di sviluppare il livello di autostima, il senso di responsabilità e di sperimentare, attraverso la “bellezza” dell’esperienza, una nuova percezione di sé che gli viene confermata positivamente dagli applausi del pubblico». Scatenati racconta i primi 10 anni di questa esperienza, con interviste, foto, le riproduzioni dei manifesti degli spettacoli e altro ancora. Un volume da leggere assolutamente per capire che i detenuti non sono carne da mandare al macello dentro un carcere, ma individui da recuperare.
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