Il gesto e la parola

Arrivato in Piazza Montecitorio un senso di delusione si è impossato di me. In quel Palazzo e nei vicoli intorno si sono scritte innumerevoli pagine di storia ma di quest’importanza non si percepiva nulla. Mi guardavo attorno e tutto mi appariva anonimo e finto. Capanelli di giornalisti con operatori video al seguito, turisti con la meraviglia stampata sul volto, uomini e donne incastrati in orrendi abiti eleganti, carabinieri e poi chissà quanti delusi come me. Ho cercato un angolo dove potermi sedere per osservare il nulla che mi si presentava. Trovata una comoda seduta all’ombra, in un angolo della piazza, sono stato travolto dalla felicità di un bambino. Aveva appena salvato un amorevole cucciolo di gatto che portava dentro una gabbietta. Il gatto era stato chiamato Matteo come il bambino che lo aveva trovato, gli occhi erano azzurri ed impauriti. Matteo, il bambino, mi chiedeva: «Bello, vero? Vuoi fotografarlo?». Non sapevo come rispondere. Quando la voce di una ragazza mi ha tolto dall’imbarazzo: «Facciamo una foto dopo che siamo stati dal veterinario». Ho rivolto un sorriso a quella ragazza e superando l’imbarazzo ho domandato a Matteo: «te lo porti a casa?». Il bambino si è intristo all’improvviso. Mi ha poi detto, con un filo di voce, che il suo papà non avrebbe accolto in casa quella creatura indifesa. Un’ingiustizia, una piccola ingiustizia. Un piccolissimo dramma infantile a cui mi sentivo di partecipare con tutto me stesso. La ragazza che li accompagnava, però, con poche e semplice parole ha creato un mondo dove l’ingiustizia appena manifestatasi era come non fosse mai esistita: «Matteo il cucciolo viene a stare con me. Potete venire a trovarlo in qualunque momento».

Il bambino è tornato a sorridere come pochi istanti prima. Infilava le sue dita alla ricerca di un contatto fisico con il gattino che se ne stava in un angolo della gabbietta ancora evidentemente spaventato. Dalla ragazza sono venuto a sapere della dinamica del ritrovamento. Poche ore prima, all’angolo fra Via del Corso e Piazza Venezia, un ciclista stava per effettuare la curva ad una velocità sostenuta, non conscio che avrebbe fatalmente investito quel batuffolo di pelo roscio. Il frastuono romano fu neutralizzato da un animalesco urlo proveniente da Matteo, spaventato quanto e più del gatto. Il ciclista come tutti i passanti si irrigidava e di conseguenza inchiodava la sua marcia cadendo in terra. Non era accaduto nulla che potesse scalfire gli ingranaggi di Roma Capitale. Infatti il classico frastuono è tornato subito a regnare. Ma nel frastuono una vita animale era stata salvata e quella della ragazza e del bambino si è riempita di gioia.

Con il cuore palpitante per quanto di irrilevante avevo appena visto accadere, mi allontanavo dal Parlamento per fare ritorno a casa. Greta aveva promesso di portarmi in un ristorante dove avrei potuto conoscere la cucina romana. Non sapevo nulla di cucina romana e ancor meno dello speciale ristorante che ci avrebbe sfamato. Il ristorante si trovava in Via Ostiense e sull’insegna all’ingresso era scritto: «Biondo Tevere»