Giovani analfabeti? Cerchiamo di capire perché
Lo scorso febbraio più di 600 tra professori universitari, rettori e membri dell’Accademia della Crusca hanno denunciato pubblicamente in una lettera al Presidente del Consiglio le difficoltà della maggior parte dei ragazzi italiani a utilizzare la propria madrelingua. Delle difficoltà, a quanto risulta dalla lettera, che non si limitano a uno scarso vocabolario, o a qualche svista, ma a vere e proprie carenze grammaticali, difficoltà a esprimersi oralmente, errori che dovrebbero essere superati già alle scuole primarie. Se la direzione e l’intenzione della lettera presentata è stata poi quella di creare delle iniziative per cercare di risolvere il problema, l’altra direzione della questione è quella di chiedersi come mai moltissime tesi di laurea siano «da correggere con la penna rossa».
La questione è stata presentata senza addossare le colpe a una o all’altra categoria, prova ne è il fatto che le iniziative proposte per far fronte al problema si rivolgono sia agli insegnanti sia agli alunni perché, giustamente, c’è bisogno di un intervento bilaterale. Ma perché la situazione è diventata oggi così preoccupante?
Una delle risposte che più travisa la vera causa del problema, è che l’avvento e lo sviluppo della tecnologia avrebbe portato ad un allontanamento dai libri. Sì, perché il metodo migliore per imparare a formulare un discorso, per saper scrivere un testo corretto, e per conoscere più vocaboli possibili, è sicuramente quello di leggere. Secondo le statistiche presentate dall’Istat, nel 2016 il 42% delle persone dai 6 anni in su ha letto almeno un libro nei 12 mesi prima dell’intervista, un dato che ha conosciuto un lento declino negli ultimi anni; ancora, se nel 2007 coloro che leggevano un quotidiano almeno una volta a settimana erano quasi il 60% della popolazione, nel 2016 sono calati al 43%. In Italia si legge poco, sicuramente meno rispetto agli ultimi anni, e la tecnologia sta avendo senza dubbio un rapido e affascinante sviluppo, più affascinante per i giovani, che stanno al passo con «il nuovo», ne capiscono subito il funzionamento e si abituano fin troppo velocemente. Ma da qui a dire che è colpa della tecnologia se i giovani non leggono più il passo è lungo, anche perché, sempre secondo i dati Istat, la fascia d’età in cui si leggono più libri è proprio quella dei 15-17 anni. Questo per rispondere a tutti quegli «scettici della tecnologia» che vedono in essa quasi una minaccia alla cultura, senza comprendere che sono due cose che possono andare di pari passo, aiutandosi a vicenda. Non solo l’avvento dei kindle e degli ebook è l’esempio più calzante di come tecnologia e cultura si possano fondere efficacemente, ma il loro successo è anche la prova che non è nella tecnologia che bisogna cercare il capro espiatorio per la scarsa conoscenza grammaticale e lessicale dei giovani.
Se la ragione della carenza grammaticale dei giovani, collegata almeno in parte alla scarsa lettura, non è quindi da attribuire soltanto alla tecnologia, chi rimane a cui dare la colpa? Probabilmente, come spesso accade, la colpa non è univoca, ma il risultato di un insieme di cambiamenti. Quello che preme però, è la necessità di non ripudiare questi cambiamenti, come potrebbero essere lo sviluppo di nuove tecnologie, ma piuttosto essere più furbi, e cercare di reindirizzarle verso un guadagno comune, come cercare di salvare la lingua italiana, e far leggere di più ai giovani, attraverso qualsiasi mezzo.