Giovanni Falcone è incostituzionale
Chi lo avrebbe mai detto che il sogno di Totò Riina si sarebbe avverato non con delle bombe, neanche con dei papelli, ma grazie a delle sentenze!
La Corte Costituzionale, con il comunicato 15 aprile 2021, ha dichiarato nei fatti incostituzionale un’arma fondamentale per il contrasto dei fenomeni mafiosi. Nello specifico ha ritenuto che il regime carcerario disciplinato dall’art. 41 bis ord. pen. sia in contrasto con il principio di rieducazione della pena (art. 27 Cost.), con quello di eguaglianza (art. 3 Cost.) e con il divieto di trattamenti inumani e degradanti (art. 3 Cedu). Il tema è molto delicato e merita di essere analizzato in dettaglio. La stessa Consulta ha rimandato l’abrogazione entro maggio 2022, in cui il Parlamento dovrà approvare interventi «che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi».
CHE COS’È L’ERGASTOLO OSTATIVO
Con l’espressione ergastolo ostativo la dottrina individua il regime penitenziario che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari gli autori di reati particolarmente riprovevoli come terrorismo, eversione, delitti legati alla criminalità organizzata (art. 41 comma 1) ove il soggetto non collabori con la giustizia.
In questo caso il soggetto non potrà usufruire ad esempio di permessi premio, liberazione anticipata, lavoro all’esterno ed altri benefici, scontando interamente la pena dell’ergastolo, senza considerare l’eventuale ravvedimento del reo. La perpetuità di questa pena può essere fermata solamente mediante la collaborazione con la giustizia, come prova della rottura del legame con l’organizzazione mafiosa.
L’art. 58 ter ord. pen. definisce la collaborazione come «il concreto aiuto reso alle autorità giudiziarie nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori dei reati».
Perché è così importante l’interruzione di questo legame?
Perché alla base di ogni organizzazione criminale di stampo mafioso vi è il legame tra l’associazione criminale ed il soggetto, un legame di omertà e rispetto talmente forte da andare oltre qualsiasi pena detentiva. Rompere questo legame vuol dire smembrare pezzo dopo pezzo l’organizzazione.
QUANDO VENNE INTRODOTTO E PERCHÉ
Era il 1992, dopo gli innumerevoli attacchi che la mafia aveva inflitto allo Stato, quest’ultimo decide di rispondere con delle armi pensate da magistrati che avevano perso la vita per onorare il proprio lavoro.
Siamo all’indomani delle stragi, mentre i cittadini piangono quei magistrati che avevano dato vita ad una rivoluzione antimafia, i mafiosi dalle celle del carcere oppure nella comodità delle proprie case, brindano di fronte alla notizia dell’uccisione dei loro più grandi nemici.
Il regime speciale trova la sua ragion d’essere proprio nelle parole del grande magistrato antimafia Giovanni Falcone: «La mafia non è una semplice organizzazione criminale, ma un’ideologia che, per quanto distorta, ha elementi comuni con tutta il resto della società, dalla quale non è possibile staccarsene, spogliarsene come si smettesse un abito». Nell’universo culturale mafioso la collaborazione con la giustizia rappresenta l’unica vera dimostrazione che l’affiliato ha rescisso i suoi legami con l’organizzazione.
Come può essere esercitata davvero la funzione rieducativa della pena nel momento in cui un soggetto non mostri la volontà di collaborare e quindi dare un chiaro ed inequivocabile segnale di ammenda?
Proprio per questo, la normativa del 41-bis si è rivelata enormemente efficace spingere gli affiliati alla collaborazione, i quali anche se folgorati sulla Via di Damasco dovranno comunque fare un calcolo costi e benefici di un’eventuale collaborazione. Collaborare vuol dire mettere non solo a rischio la propria incolumità, ma anche aiutare le autorità, che fino a poco tempo prima erano considerate il nemico più grande, a scapito della propria comunità.
Il regime del carcere duro si è rivelato in tal senso molto efficace, spingendo alla collaborazione e quindi allo smembramento della struttura criminale.
Non a caso una delle richieste contenute nello storico papello in cui la mafia dettava le proprie condizioni per un’eventuale trattativa con lo Stato conteneva proprio lo smantellamento di quest’importante arma.
LE REAZIONI DEI FAMILIARI DELLE VITTIME DI MAFIA
Maria Falcone, sorella del Dott. Giovanni Falcone ucciso nella strage di Capaci insieme ai membri della sua scorta commenta così la sentenza: «Chiunque abbia una conoscenza minima del mondo mafioso, però, -spiega – sa che solo la collaborazione con la giustizia spezza i legami tra l’uomo d’onore e il clan. Concedere la libertà condizionale o altri benefici a prescindere dalla scelta netta della piena collaborazione sarebbe un errore pericolosissimo. Come sarebbe sbagliato e grave lasciare ai giudici, sovraesponendoli, la discrezionalità di scegliere caso per caso».
Salvatore Borsellino, fratello di un altro grande simbolo della lotta alla mafia, il Dott. Paolo Borsellino attacca senza mezzi termini: «L’imponente eredità lasciata da Paolo Borsellino e da Giovanni Falcone, anche e soprattutto a livello normativo , che aveva reso la nostra legislazione la più avanzata a livello europeo e mondiale per quanto riguarda il contrasto alla criminalità organizzata, è quella di cui, a trent’anni di distanza sta per essere concluso lo sgretolamento e la sconfessione.
Paolo sapeva che non avrebbe avuto il tempo di concludere il suo lavoro, Paolo non poteva che lasciare dei segnali che sono stati purtroppo completamente disattesi, la stessa sua ultima intervista è stata occultata per anni. Paolo ebbe la chiara percezione da che parte sarebbe arrivato il fuoco che l’avrebbe ucciso, non soltanto e non principalmente dal nemico che aveva scelto di combattere ma da pezzi di quello stesso Stato a cui aveva prestato giuramento. Eppure a quel giuramento Paolo ha prestato fede sino alla fine e ha scelto lucidamente di sacrificarsi per lasciare intatta la sua eredità spirituale a quei giovani nei quali tanto credeva. Come scrive nella sua ultima lettera: “Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di combattere di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”».
Sono state tante le testimonianze di preoccupazione per lo smantellamento pezzo dopo pezzo di un sistema efficace di lotta alle mafie.
CHE COSA SUCCEDERÀ?
Ora la palla passa al Parlamento, che come sottolineato dalla stessa Consulta, ha il dovere di trovare il modo di adeguare la normativa e renderla efficace, ma rispettando i profili costituzionali segnalati. Un compito arduo se non proprio impossibile.
Un sogno che si sta avverando, quello di Totò Riina, che ha sempre combattuto e criticato il carcere duro, sicuramente con intenti molto meno nobili di quelli del rispetto della Costituzione.