Il Giro d’Italia parte da Israele: è polemica

Il 4 maggio prenderà il via la 101esima edizione del Giro d’Italia. Vi starete chiedendo da quale delle nostre meravigliose località avverrà la partenza. Da Venezia? Da Napoli? Da Palermo? No, da Israele. Precisamente, da Gerusalemme. Ma Gerusalemme, mi raccomando, non Gerusalemme ovest.
Non è una novità di quest’anno la scelta di avviare da un paese estero una delle più prestigiose competizioni ciclistiche a livello mondiale quale è il Giro. Pensiamo, ad esempio, al 2002, quando la corsa partì dai Paesi Bassi e percorse Germania, Belgio, Francia e Lussemburgo con l’intento di celebrare l’Unione europea. Nel 2006, invece, la tappa di apertura si tenne in Belgio, in memoria dei minatori, perlopiù italiani, che persero tragicamente la vita a Marcinelle nel 1956. Più recentemente, l’edizione 2012 iniziò dalla Danimarca e quella del 2014 da Belfast, in Irlanda del Nord.
L’inaugurazione di questa sentita manifestazione italiana in una sede straniera riflette tutta la marcata esterofilia che ci contraddistingue rispetto ad altri popoli e risulta spesso poco sensata per una gara ciclistica; infatti, un conto sarebbe incominciare in uno stato confinante, per poi congiungersi, proprio in sella alla bicicletta, con la nostra terra, un altro è porre il punto di partenza a migliaia di km dal territorio italiano, rendendo ciò, ovviamente, fisicamente impraticabile, senza considerare il dispendio di denaro del trasferimento di atleti, staff e mezzi da un luogo all’altro. Per un evento sportivo che nel suo nome stabilisce chiaramente un netto legame con l’Italia, tutto questo ha del paradossale.
Soffermandosi solo su questo aspetto, tuttavia, la questione apparirebbe banale, una effimera polemichetta da bar. Come sappiamo, però, soprattutto quando vengono coinvolti soggetti internazionali, ogni condotta si trascina uno strascico politico che è bene non sottovalutare. Le scelte di collocazione di questo genere di manifestazione non sono mai frutto della casualità, ma figlie di opportunità economiche e/o strategiche, motivo per cui sovente scatenano dibattiti e prese di posizione.
Quest’anno, come anticipato, il comitato organizzatore, che fa capo a La Gazzetta dello Sport, ha deciso di coinvolgere Israele, insomma, a due passi (anzi, a due pedalate) dai nostri confini. L’aspetto più esilarante è che si è rischiato l’incidente diplomatico proprio con questo paese. Infatti, gli addetti alla preparazione del Giro avevano diramato dei comunicati in cui veniva attestato che le gare si sarebbero tenute presso Gerusalemme Ovest, presupponendo la divisione della città in due zone, pertanto quella est sotto l’ala palestinese. Questo, che apparentemente risulterebbe un dettaglio trascurabile, ha suscitato l’ira del Governo dello stato ebraico, il quale ha prontamente minacciato di ritirare i fondi stanziati per finanziare le fasi della corsa che si svolgeranno nel suo territorio, che sono ben tre: la prima sarà una cronometro individuale di 10,1 km, seguiranno due altre tappe con arrivo a Tel Aviv e a Eilat. La reazione di Rcs Sport è stata ossequiosa, correggendo immediatamente l’errore (se di errore si può parlare) e prostrandosi a Israele e al suo denaro senza battere ciglio.
Ecco come una competizione di carattere sportivo si trasforma in uno strumento di diplomazia e propaganda. Israele, maggiormente in questo periodo, ha necessità di conferirsi un’immagine filantropa, portatrice di sani valori di cui lo sport è da sempre il simbolo. Sicuramente, ospitare la Corsa Rosa, darà modo allo stato israeliano di attirare simpatie e introiti, considerando l’afflusso di persone che fisicamente o tramite i mezzi d’informazione stabiliranno un contatto con esso e che, grazie alle lodi che verranno tessute e le immagini dei suoi paesaggi affascinanti, ne rimarranno piacevolmente colpiti. La Palestina, fagocitata dalla fame espansionistica dei sionisti, c’è da scommetterci, sarà, ancora una volta, accantonata dalla luce dei riflettori. Gli orrori che vengono perpetrati ai suoi danni verranno messi da parte e Israele ne uscirà col trucco rifatto e un’immagine più pulita. Perciò, sta nascendo un movimento che chiede a gran voce che il Giro non parta da Israele, che non gli venga data la possibilità di lavarsi la coscienza a reti unificate mentre continua a occupare aree palestinesi mietendo vittime e sfollati. Coloro che aderiscono a questa azione sono consci del fatto che non si darà il minimo spazio a questioni quali gli espropri, ma, come dicevamo, si tenderà a dipingere Israele come uno stato esemplare, lasciando ancora più soli i palestinesi sofferenti.