Gli USA e il Coronavirus: pochi test e mancano posti letto
Il COVID-19 è ormai una realtà che, purtroppo, noi tutti ci troviamo ad affrontare. Una considerazione che però bisognerebbe fare è che, quantomeno, non stiamo ignorando il problema. Stiamo provando ad arginare il contagio, con grandi sacrifici da parte di tutti. Questo non può essere detto per gli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti, infatti, stanno attualmente ignorando questo problema. Il direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases Anthony Fauci ha dichiarato che gli Stati Uniti non sono al momento attrezzati per garantire i necessari test alla popolazione. Non potendo effettuare un adeguato numero di test, non è nemmeno possibile avere un dato preciso e oggettivo delle effettive infezioni. Per avere un’idea più precisa, basta pensare al fatto che in Italia sono stati fatti (all’8 marzo) circa 50 mila tamponi su una popolazione di 60 milioni di persone, quindi 826 test per milione di persone. Negli Stati Uniti, invece, entro quella data sono stati eseguiti quasi 8 mila test, dunque sui 330 milioni di Americani risultano 23 test per milione di persone.
Qual è il motivo dietro a questo ritardo? Innanzitutto, il CDC (Centre for Disease Control and Prevention) ha sottovalutato il problema (come, purtroppo, molti altri Paesi hanno fatto), non permettendo ad abbastanza laboratori di eseguire il test e restringendo le indicazioni a fare il tampone soltanto alle persone estremamente malate. La dottoressa Leana Wen, della George Washington University, ha dichiarato che non tutti quelli che necessitano di un test lo possono avere, al momento: di conseguenza, bisogna razionare gli esami disponibili ai casi più severi. Così facendo, però, si sottostimano enormemente i casi, che infatti si sospetta siano 5 o 10 volte superiori a quelli finora riscontrati ufficialmente.
Un altro grande problema del sistema sanitario americano sono i costi: chi pagherà per questi tamponi? Il prezzo complessivo dell’esame è 1331$ a testa. Al momento c’è una forte pressione sull’amministrazione Trump per far sì che i test restino, se non gratuiti, quanto meno a un prezzo raggiungibile dalla popolazione. Il fatto stesso che i test potrebbero non essere del tutto gratuiti è una grave ingiustizia.
Inoltre, finora i test eseguiti permettevano di avere una risposta dopo alcuni giorni: in Italia, sono disponibili dopo circa 6 ore. Un’attesa così lunga fa sicuramente perdere tempo prezioso nella lotta contro il virus. A Seattle, i professionisti sanitari sono stati così frustrati dal sistema di tamponi messo in atto dal CDC americano che il sistema locale ha inventato i propri test in autonomia. Grazie a questo test è stato possibile individuare il focolaio nello stato di Washington e dalle indagini genetiche sembrerebbe che il virus circoli già da sei settimane.
Le previsioni sull’infezione non sono rassicuranti: come dichiarato dal dottor James Lawler, dell’Università del Nebraska, ci potrebbero essere quasi 5 milioni di ospedalizzazioni nell’arco dei prossimi due mesi e circa 2 milioni di ricoveri in terapia intensiva. Considerando che gli Stati Uniti dispongono a malapena di 1 milione di posti letto per ricoveri ordinari, ci saranno ingenti problemi se l’epidemia non viene fermata.
Nella giornata di ieri, il presidente Trump ha dichiarato lo stato di emergenza, con quasi 2 mila casi accertati. Ha anche dichiarato che l’intento è di rendere disponibili 5 milioni di test entro il mese, che sarebbe possibile grazie a un accordo con gli ospedali privati, ovviamente. Si spera che ciò avvenga, per il bene dei cittadini statunitensi e del mondo intero. In questi giorni duri, quindi, guardando a ciò che sta avvenendo in altri Paesi, ricordiamoci che, con tutti i nostri difetti e i problemi del nostro sistema sanitario nazionale, dovremmo essere felici delle misure prese in Italia.
Sono una studentessa della facoltà di Medicina e Chirurgia di Torino.
Scrivo principalmente di argomenti scientifici, tentando di divulgare ciò che più mi appassiona.