«Il Grande Fratello ti sta guardando!»: non solo Facebook
«Big Brother is watching you!». Questa è la famosa frase del libro 1984 di George Orwell, che descrive chiaramente un mondo in cui il potere riesce a controllare e sapere ogni singolo passo dei propri sudditi.
Tutto ciò potrebbe sembrare una semplice favola distopica, ma oggi ci rediamo conto che non lo è affatto.
I così denominati Big Data, ovvero tutte le informazioni che ogni utente immette nella rete, formano un grandissimo bagaglio di nozioni che possono essere messe in vendita al miglior offerente, a discapito degli ignari consumatori.
Il watergate cibernetico è nato con lo scandalo di Cambridge Analytica, azienda di consulenza britannica di analisi statistica dei dati, che è imputata di essersi ingiustamente appropriata dei dati personali di 87 milioni di utenti Facebook per usarli per fini elettorali. Secondo le inchieste del Guardian e del New York Times l’azienda britannica ha usato una marea di Big Data con lo scopo di riuscire ad influenzare le elezioni americane e la Brexit.
Secondo le ultime notizie sembra che siano coinvolti nella vicenda il miliardario Robert Mercer e l’ex consigliere di Donald Trump Steve Bannon.
Il fondatore Zuckerberg ha dichiarato: «Abbiamo la responsabilità di proteggere i vostri dati, e se non riusciamo a farlo non meritiamo di essere al vostro servizio, stiamo lavorando per capire cosa sia esattamente successo e per assicurarci che non accada mai più». Con queste parole il Ceo di Facebook ha ammesso i propri errori e da subito sembra si sia messo all’opera per risolvere i problemi di privacy degli utenti.
Come primo passo, Zuckerberg ha partecipato al Congresso e ha ammesso di fronte ai deputati: «Cambridge Analytica ha violato anche i miei dati», esplicitando di fronte al mondo il proprio stupore.
Cambridge Analytica, dopo aver liquidato il il Ceo Alexander Tayler, respinge le accuse attraverso un documento che, secondo l’azienda britannica attesterebbe la propria innocenza e spiegherebbe che i dati acquisiti sono stati registrati solo grazie al consenso informato degli utenti.
Ma la cosa importante ora è capire se questo caso sia isolato o se sia la punta dell’iceberg di un problema più grande. Che ci siano altre aziende come Cambridge Analytica? Quanti altri dati ci vengono sottratti ogni giorno?
Il rischio sembrerebbe essere soprattutto quello della fuga di informazioni in favore dei criminali: i dati che ogni giorno inseriamo in siti come DropBox, LinkedIn, Adobe e Yahoo! potrebbero essere usati dai malintenzionati nel Dark Web per ricavare nomi, amicizie, foto profilo, e luogo di residenza.
Un altro scandalo recente riguarda l’app Grindr, applicazione che serve a mettere in contatto le persone che si trovano nelle vicinanze, imputata di aver inviato ad altre due società, Apptimize e Localytics le informazioni sensibili nei profili degli utenti, compresa la loro sieropositività sull’Hiv.
Bryce Case, il responsabile della sicurezza, ha fatto sapere di aver però di aver cancellato tutti i dati dalle due applicazioni.
Ma lo scandalo dei Big Data non si ferma di certo qui.
Secondo uno scoop di FqMillenniuM, mensile del Fatto Quotidiano, emerge che anche Google conosce tutto di noi: le nostre passioni, i nostri dubbi e i nostri peccati.
Tutto illegale? A quanto sembra assolutamente no. Secondo i termini del contratto che ogni utente accetta usando il motore di ricerca, ognuno di noi è disposto a cedere a Google le parole cercate, le informazioni sulle telefonate, sulla posizione o sull’indirizzo IP.
Chi si appropria di tutto questo ammasso di informazioni? Secondo le ricerche qualsiasi informazione potrebbe essere ceduta a applicazioni, società esterne oppure ai governi stessi.
I Big Data dicono tutto di noi, in qualsiasi momento: le nostre emozioni, dove siamo, dove saremo, che locali frequentiamo e con chi stiamo. Queste informazioni possono rivelarsi utili quando vengono usate dalle forze dell’ordine, e possono anche prevedere attentati e pericoli, ma risultano senza alcun dubbio invasive e fuorvianti quando vengono usate dai governi per manipolare il voto degli elettori.
Secondo quanto evidenziato dagli ultimi studi svolti da British Columbia e da Berkeley, su 5.855 applicazioni per bambini distribuite da Android, addirittura il 4.4% ricava dati sulla posizione, 107 condividono con terzi l’indirizzo email e 10 il numero di telefono.
Questo enorme ammasso di dati porterebbe con sé informazioni come la situazione finanziaria familiare, le abitudini e la salute degli utenti. Sembrerebbe per lo più che 2.281 applicazioni violino le condizioni di Google e traccino l’Id pubblicità Android che definisce le preferenze di acquisto degli utenti.
Infine, a quanto sembra, dopo che Google è riuscita ad acquisire Tenor, l’azienda che crea le Gif animate, sembrerebbe che adesso internet sia in grado di dedurre anche le nostre emozioni.
I Big Data sono un grande ammasso di dati che servono alle aziende per poter controllare meglio le menti e le preferenze degli utenti e noi tutti ci troviamo prigionieri in quella tela di insidie che è la rete. L’unica ricetta sembra essere quella di conoscere in modo più approfondito il mondo di Google, dei social e di installare con raziocinio le applicazioni sui nostri dispositivi.
Laureata all’Università di Padova Ingegneria Chimica e dei Materiali e laureata magistrale in Ingegneria Chimica (Susteinable Technologies and Biotechnologies for Energy and Materials) presso l’Almamater Studiorum Università di Bologna.
Scrivo per La Voce che Stecca dal 16 luglio 2015 e su queste pagine mi occupo di cultura, musica e sport, ma soprattutto di scienza, la mia passione.