La breve: il grande jazz di W.C. Handy firmato Paci-Ottolini

Un concerto eccezionale. E il discorso potrebbe finire qui, parlando dei «Penta Blues», il progetto firmato Roy Paci e Mauro Ottolini, che è andato in scena a Padova al teatro Verdi venerdì scorso nella penultima serata del Padova Jazz Festival. Un viaggio lungo le orme musicali di William Christopher Handy (1873-1958), che con la sua prolifica vena compositiva contribuì a definire la forma del blues come la conosciamo oggi. Non per nulla si è guadagnato l’appellativo di «padre del blues».

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Quello scritto da Handy e ora reinterpretato da Roy Paci e Ottolini è un jazz primigenio dalla vocazione corale e dall’intensità primordiale, i cui testi narrano storie di uomini e donne, di musica e d’amore, di denaro che manca e di giochi d’azzardo.
Paci alla tromba e Ottolini al trombone hanno fatto i virtuosi, circondati da un gruppo di eccellenti artisti: Vanessa Tagliabue Yorke alla voce, Roberto De Nittis al pianoforte, Riccardo Di Vinci al contrabbasso e Paolo Mappa alla batteria. Questo però non significa che il resto della band fosse in secondo piano: ognuno di loro ha avuto la possibilità di mostrare tutto il proprio talento: musicisti estremamente tecnici, ma non troppo, ossia capaci di mantenere quella spontaneità che permette di comunicare con il pubblico.
Un viaggio nel jazz di New Orleans quasi un secolo dopo, grazie a un lavoro filologico di ricerca e di ricostruzione degli spartiti, che lascia incredulo l’ascoltatore che per la prima volta viene in contatto con sonorità, ritmi e melodie troppo spesso dimenticati. W. C. Handy, un maestro per tutti coloro che conoscono il jazz e il blues, ha entusiasmato con i suoi brani il teatro Verdi di Padova: un pubblico di tutte le età che è uscito visibilmente soddisfatto, al pari ovviamente di chi scrive.