I danni del naufragio di X-Press Pearl in Sri Lanka
Lo scorso 20 maggio la X-Press Pearl, una nave mercantile che trasportava sostanze chimiche, ha preso fuoco al largo della costa della città di Colombo in Sri Lanka ed è affondata ad inizio giugno dopo aver bruciato in mare per giorni, lasciandosi alle spalle un disastro ambientale con cui l’isola dovrà convivere per decenni.
L’X-Press Pearl, lunga 186 m, ha lasciato il porto indiano di Hazira diretto a Colombo il 15 maggio e l’incendio è divampato cinque giorni dopo quando era ancorata al largo del porto di Colombo.
Per giorni pennacchi di fumo scuro e denso si potevano vedere a chilometri di distanza dal luogo del naufragio, la X-Press Pearl giace ora silenziosa e semi-affondata, lo scafo poggia sul fondale costiero dell’Oceano Indiano a 21 metri di profondità, ma nonostante le fiamme siano state spente, i problemi sono solo appena cominciati.
L’X-Press Pearl trasportava 278 tonnellate di olio combustibile e 50 tonnellate di gasolio quando ha preso fuoco il 20 maggio, insieme a 25 tonnellate di acido nitrico, idrossido di sodio e altri prodotti chimici e cosmetici. Parte di queste sostanze tossiche si trovano ancora all’interno di container accatastati l’uno sull’altro sulla nave semi-affondata, ma molte di queste sono già fuoriuscite in acqua iniziando l’irreversibile processo di avvelenamento dell’ecosistema marino.
Inoltre, tonnellate di minuscoli pellet di plastica sono stati rinvenuti sulle spiagge locali vicine e le centinaia di tonnellate di carburante per motori sigillate nello scafo affondato potrebbero causare delle ulteriori perdite di materiale chimico in mare.
Dopo il naufragio, il tratto costiero vicino al sito del relitto – sede di alcune delle spiagge più incontaminate del paese – ha visto l’inquinamento da petrolio, detriti e pellet di plastica. Settimane dopo l’incidente, invece, sono state trovate centinaia di creature marine spiaggiate sulla costa per intossicazione e avvelenamento. Finora sono stati portati a riva resti di 176 tartarughe, 20 delfini e quattro balene.
Oltre alle minacce ambientali, ci sono conseguenze devastanti per le comunità singalesi; i pescatori locali, infatti, da un giorno all’altro si sono visti privare della loro principale fonte di reddito e probabilmente soffriranno per gli anni a venire. «Siamo pescatori su piccola scala e andiamo in mare tutti i giorni. Possiamo guadagnare qualcosa solo se andiamo in mare, altrimenti tutta la nostra famiglia morirà di fame» ha detto Denish Rodrigo, un pescatore locale in un’intervista a BBC.
Esperti sanitari e MEPA (Marine Environment Protection Authority) prevedono il verificarsi di lievi piogge acide sull’isola a causa dell’emissione di diossido di azoto e le autorità hanno vietato la pesca costiera da Kalutara a Negombo per i timori di una possibile contaminazione.
Il Governo dello Sri Lanka ha presentato una richiesta assicurativa iniziale di 40 milioni di dollari per le spese di spegnimento dell’incendio e il risarcimento della perdita di reddito di circa 50.000 persone, la maggior parte pescatori. I funzionari dello Sri Lanka ritengono che l’incendio sia stato causato da una perdita di acido nitrico di cui l’equipaggio era a conoscenza dall’11 maggio. L’acido altamente corrosivo è ampiamente utilizzato nella produzione di fertilizzanti ed esplosivi. I proprietari della nave hanno confermato che l’equipaggio era a conoscenza della perdita, ma hanno affermato che gli era stato negato il permesso sia dal Qatar che dall’India di attraccare la nave nei loro porti.
Cresce ora la rabbia in Sri Lanka sia da parte di ambientalisti che di pescatori e cittadini per il fatto che sia stato permesso alla nave di entrare nelle acque dell’isola. Il capitano russo della nave – a cui è stato impedito di lasciare il paese – è apparso in tribunale lo scorso giovedì ancora senza accusa e altre 14 persone sono state nominate co-imputate per il caso. Il procedimento giudiziario riprenderà il 15 luglio.
L’incidente è stato considerato il peggior disastro ecologico marino nella storia dello Sri Lanka, una volta ancora a pagare il prezzo più alto per gli errori umani sono gli animali e l’ambiente.