I Topi, la serie che avvicina la Rai a Netflix
A dir la verità non se ne sta parlando molto, ma in questo periodo c’è una chicca televisiva (ma non solo) che sarebbe un peccato perdersi, il sabato sera su RaiTre. Perché si è specificato «non solo»? Il motivo è semplice: è possibile guardare «I topi» anche su Internet, creandosi un account completamente gratuito sul sito di RaiPlay.
Pur con un titolo che richiama la fauna, non si tratta di un remake di Geo&Geo o di qualche documentario sugli animali improntato sull’illustrazione dei roditori. «I topi» è, invece, una nuova serie TV che vede come protagonista l’apprezzato Antonio Albanese, il quale veste i panni di un mafioso latitante da anni. Dichiarato deceduto agli orecchi degli estranei, in realtà è rifugiato dentro la sua abitazione, così come spesso si scopre a proposito dei veri boss malavitosi ricercati per decenni. Il titolo, anche con la sua declinazione al plurale, è già suggestivo: infatti, Sebastiano (Albanese) non è l’unico a nascondersi. Nei cunicoli sottostanti l’edificio, ai quali si accede scivolando come al parco divertimenti e atterrando su un materasso (quando non è stato spostato), vi è l’anziano zio, impersonato dal magistrale Tony Sperandeo. Occhiali grandi e colorito biancastro lo contraddistinguono, insieme alla posizione perennemente seduta, all’ascolto della radio perennemente sintonizzata sulle informazioni sul traffico e un inscalfibile malumore che lo porta a definire qualunque circostanza «di merda». Costui, anche lui creduto morto, non fuoriesce dalla sua tetra tana da dodici anni, essendo terrorizzato dall’idea di essere catturato e condotto in carcere. È però tenuto in vita da due desideri: portare un bicchiere d’acqua a John Wayne (seppur defunto) e rivedere il mare.
Al piano superiore, alla luce del sole, ma protetti da un sistema di videosorveglianza molto accurato, vivono altri quattro membri della stramba famiglia: la moglie di Sebastiano, Calascibetta (in onore dell’omonima battaglia) detta Betta; i figli Carmela (ma chiamatela Carmen, o sono guai!), Benedetto, affettuosamente Benni; la zia, consorte del vecchio latitante.
Betta è agli occhi di tutti vedova e invidiata per questo dal suo gruppo di amiche che frequenta periodicamente in palestra e per giocare a carte. Carmen studia intensamente Economia e Commercio, sognando una vita diversa dai loschi affari che prospetta per lei il padre; nonostante l’abnegazione per i libri, ha una vita sentimentale vivace che desta preoccupazione nei suoi parenti perché in conflitto con i loro interessi criminali. Benni, invece, si dedica ai fornelli, seguendo un corso di nouvelle cuisine che lo porta a preparare pietanze elaborate e dagli ingredienti ricercati che quasi mai incontrano i gusti degli altri abitanti della casa, che ritengono il ragazzo strano e disagiato: «Devi stare vicino a Benni!», si sente ordinare alla mamma Betta svariate volte.
La zia è appassionata di cavalli, ma non pratica equitazione, bensì è ossessionata dalle scommesse. In molte scene, infatti, si chiude in camera per telefonare e puntare su qualche equino, basandosi esclusivamente sull’eufonia del nome di questo.
L’altro personaggio fondamentale è senza dubbio O’ Stortu, che prende vita grazie all’attore Nicola Rignanese. Egli, taglio da gentiluomo con la riga di lato reso, tuttavia, per nulla elegante da una tinta giallo Simpson, è l’indispensabile braccio destro di Sebastiano. Insomma, quando c’è qualche problema, si allerta O’ Stuortu. Seba, dopo essersi travestito da donna, fuoriesce dal suo nascondiglio e, con i mezzi più disparati, tra cui una piccola imbarcazione e un quod, lo raggiunge, nei vasti e districati cunicoli di un cimitero. Buona parte della serie è proprio ambientata nel sottosuolo, in labirinti chilometrici degni delle reti viarie più sviluppate, dove gli affiliati sfuggono al potere giudiziario e si riuniscono per decidere i loro affari. A queste assemblee, non possono che prendere parte anche il senatore di quel territorio e il sindaco, senza i quali è difficile mettere in atto i piani della cricca.
L’ambientazione, dal punto di vista geografico, non è chiara nei primi episodi, ma poi, si svela essere una città settentrionale. Una scelta, questa di non esplicitare il luogo in cui si svolgono i fatti, che è molto arguta: trattandosi di mafia viene da pensare sia al sud, poi si viene quasi spiazzati apprendendo che i personaggi vivono al nord, come a sottolineare che il fenomeno si è espanso ovunque, anche dove non ci si aspetta.
È da rimarcare molto positivamente il percorso intrapreso da mamma Rai; ultimamente, le sue fiction vengono caricate in anteprima, totalmente o parzialmente, sul sito web. Sicuramente questo è un modo per andare incontro alle abitudini di sempre più utenti, specialmente giovani, che preferiscono seguire i film sul proprio PC o tablet senza essere vincolati dagli orari di programmazione. Se già da un anno Viale Mazzini ha sposato questa politica, I topi è probabilmente la prima serie TV che veramente si avvicina alle dinamiche di Netflix: gli episodi sono molto brevi, di nemmeno mezz’ora e scorrono via molto agevolmente, facendo venire voglia di guardarne uno dopo l’altro fino al sesto e ultimo. Forse questa è la vera svolta in casa Rai in quest’ambito.
Classe 1995, laureata in giurisprudenza.
Il diritto e la politica sono il mio pane quotidiano, la mia croce e delizia.
Vi rassicuro: le frasi fatte solo nelle informazioni biografiche.