Il Latte dei Sogni: la Biennale come favola rivelatrice
Una manciata di giorni ormai ci separa dall’evento culturale dell’anno. Il 23 aprile si inaugurerà infatti la 59ᵃ Biennale di Venezia, dal titolo «Il Latte dei Sogni», a cura da Cecilia Alemani. Un’esposizione con una spiccata presenza femminile, che si preannuncia essere un viaggio fantastico tra realtà stravolte e reinventate grazie all’immaginazione di 213 artisti.
La mente organizzativa
Cecilia Alemani è la curatrice di questa Biennale, ma tale figura professionale fino a poco tempo fa non era prevista sulla sua carta d’identità. Partita da Milano con una laurea in Filosofia, decide di fare fagotto e di studiare l’inglese a Londra, scegliendo successivamente d’iscriversi a un corso di Arte contemporanea alla Tate Modern. Esso le fornisce lo slancio per iniziare il percorso verso questa nuova professione.
Il curatore d’arte è una figura che interviene in supporto degli artisti nel senso più pratico del termine. Si destreggia nel mare della burocrazia e si interfaccia con le istituzione. Un mediatore il cui fine ultimo è garantire visibilità agli artisti e accessibilità ai fruitori.
Tornando ad Alemani, una volta rientrata a Milano lavora in una galleria d’arte locale, fino a quando una application per un master la porterà fino al Bard College di New York, dove si trasferisce in pianta stabile. Parallelamente a vari lavori da freelance, approda nel 2011 come curatrice della galleria di arte contemporanea High Line Art. Si tratta di un parco che sorge su una delle ferrovie sopraelevate ormai abbandonate, destinato alla demolizione, ma volutamente salvato dalla comunità in un’operazione di riqualificazione urbana degli spazi in disuso.
Il latte dei sogni
Il titolo della Biennale, fa riferimento a un libro di favole di Leonora Carrington, un’artista da sempre
ribelle. Iniziò la sua carriera opponendosi alla rigida formazione voluta dalla famiglia, fatta di regole
sociali e comportamentali della società alto borghese d’inizio Novecento. In quanto donna, riuscì a dedicarsi agli d’arte soltanto grazie alla sua caparbietà.
Rifiutava etichette, soprattutto quella molto scomoda di surrealista. La sua arte, invece, esprimeva un percorso di maturazione espressiva del tutto personale, fuori dagli schemi di qualsivoglia movimento.
Scriverà e rappresenterà soggetti femminili dall’identità biologica incerta, figure ibride tra l’umano e l’animale, protagoniste trasgressive che rifiutano di assoggettarsi alle convenzioni e che sanno reinventarsi grazie al talento. Ormai diventate altro da sé, le sue creature vivono forti e solitarie in mondi liberi, finendo spesso per preferire la compagnia di esseri non umani.
Ed è proprio questo il punto saliente del tema portabandiera dell’esposizione, organizzata da remoto durante il periodo più carente d’interazioni umane della storia recente. L’isolamento forzato ha costretto
gli artisti a un confronto se stessi, favorendo una meditazione creativa ancora più intima e introspettiva.
L’indagine empirica del post umano
«Come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non-umano? Quali sono le responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi? Questi sono alcuni degli interrogativi che fanno da guida a questa edizione della Biennale Arte» ha dichiarato Alemanni durante la conferenza stampa di presentazione dell’evento.
Nel periodo di ricerca, che coincide con il clou della pandemia, dialogando con gli artisti sono emersi con
persistenza interrogativi molto simili, che hanno portato a emergere immagini di una condizione post-umana. L’indagine materiale che scaturisce da esse scardina la figura dell’uomo per come la conosciamo, il quale abbandona la concezione egotista del Sé e del suo rapporto con le cose, nonché l’impatto della
relazione e interazione con il mondo vegetale, animale e tecnologico.
L’introspezione più pura che scava di strato in strato nella meccanica dell’essere, per poi giungere al nucleo incandescente dell’Es sviscera i rapporti io-tutto e uomo-natura-società-macchina.
Le scene trasmigrano in ambienti surreali di corpi trasformati, possibili scenari di mondi nel quale crea
alleanze e si mescola con altre specie, generando esseri disobbedienti alle forme convenzionali,
metamorfici e plurimi. Esattamente come nelle favole della Carrington.
«Se gli eventi degli ultimi mesi hanno dato forma a un mondo lacerato e diviso, la mostra Il Latte dei Sogni prova a immaginare altre forme di coesistenza e trasformazione. Per questo, a dispetto del clima in
cui è nata, aspira a essere una mostra ottimista, che celebra l’arte e la sua capacità di creare cosmologie alternative e nuove condizioni di esistenza. La mostra guarda alle artiste e artisti non come coloro che ci rivelano chi siamo, ma piuttosto come coloro che sanno assorbire le inquietudini e le preoccupazioni di questi tempi per mostrarci chi e che cosa possiamo diventare.»
Una Biennale che, tra empirismo e astrazione, vuole portare l’osservatore a esplorare l’arcano del proprio mondo con scenari alternativi, offrendoci di fatto un ponte comunicativo che una volta superato varrà come punto di partenza per una conoscenza immersiva di noi stessi e del tutto, un punto di connessione tra artista e fruitore, che si tiene lontano dai moralismi comuni, ma pone un percorso concreto e meditativo dal sapore rivelatorio.