Il Mago del Cremlino di Giuliano da Empoli: l’ascesa di Putin raccontata dall’ombra
Perché leggere Il Mago del Cremlino (Mondadori, giugno 2022) , primo romanzo di Giuliano da Empoli? L’autore ora vive a Parigi, è saggista, esperto di Russia e consigliere politico italiano e svizzero.
Quando è scoppiata la guerra in Ucraina non si parlava d’altro, sembrava che la nostra vita si fosse fermata. Eppure, adesso l’interesse si sta affievolendo, come se la guerra non fosse ancora lì. Solo un colpo di stato lampo ha scosso un po’ l’opinione pubblica. Invece è giusto continuare a informarsi sul progredire degli eventi, controllando per quanto possibile che la notizia arrivi da una fonte attendibile.
Tuttavia, da laureata in Scienze Storiche con una tesi su Anna Politkovskaja, penso che sia importante informarsi sul passato, non limitandosi ai fatti appena successi. E la maggior parte della gente non vuole leggersi grossi tomi di duemila pagine, con frasi arzigogolate e concetti difficili da digerire. Quindi un romanzo basato su fatti reali è un ottimo compromesso.
Da cosa nasce la scrittura de Il Mago del Cremlino
Da Empoli, in un’intervista a swissinfo.ch, precisa che il romanzo è nato dalla sua esigenza, dopo vent’anni di politica, di riflettere sul potere. Tra l’altro, l’autore fa dire al “suo” Putin, riguardo l’omicidio della Potikvoskaja, la visione che al Cremlino potrebbero realisticamente condividere: «Lo sai benissimo, Vadja (Vadim Baranov-vedi dopo), non siamo stati noi. Noi non facciamo niente: al massimo creiamo le condizioni di una possibilità».
Ecco perché Il Mago del Cremlino non è strettamente legato all’attualità, ma sicuramente aiuta a capirla. Racconta l’ascesa di Vladimir Putin. Forse i dialoghi e alcune emozioni dei protagonisti sono inventate (si tratta pur sempre di finzione letteraria), ma i fatti narrati sono veri: l’oligarca Berezovskij sceglie come delfino per Eltsin un semisconosciuto funzionario del KGB, con l’intenzione di farne un burattino nelle sue mani per mantenere il controllo della Russia, proseguendo col processo di apertura verso l’Occidente. Qualcosa va storto. Il giovane Putin, dopo aver obbedito agli ordini tutta la vita, non si lascia manipolare e ha in testa un’idea di restaurazione della “Grande Russia”.
Tutto è raccontato attraverso il monologo dell’unico personaggio principale, che non porta il proprio nome vero, ma uno fittizio, Vadim Baranov. Questo è “il mago” del titolo, un consigliere nell’ombra, un uomo di teatro, che vede la politica come un teatro, in cui lui è un semplice suggeritore di battute. La sua figura è modellata su Vladislav Surkov, braccio destro di Putin dal 1999 al 2020, circa. Il personaggio vorrebbe porsi in una posizione di superiorità rispetto a tutti gli altri e al contempo diventare invisibile, un’ombra di Putin, che lui chiama quasi sempre lo “Zar”. Pian piano che la storia va avanti, quest’ombra rischia di rompersi, Baranov scopre di aver un suo pensiero.
La differenza più importante fra i due uomini, a quanto emerge dalla lettura, è che, mentre Baranov trova la sua dimensione fra altri esseri umani, Putin è solo, completamente, i suoi amici non sono amici, il suo consigliere non è suo amico e certamente non lo sono i soldati sul fronte ceceno. La solitudine è il cuore del potere, sembra dire il libro.
Il romanzo e gli interrogativi sulla democrazia
L’opposto sembra essere la democrazia, ma esiste già la democrazia perfetta? All’interno del romanzo vengono spesso poste domande sulle forme di governo nel mondo. Ogni volta che a Baranov viene fatta notare la svolta autoritaria evidente nella Russia di Putin, lui risponde che ci sono molti paesi che hanno lo stesso colore politico al governo da trent’anni e nessuno dice niente. Certo, lo dice con le sue parole. Lo stile è molto aulico, spesso eccessivamente retorico, quasi ogni frase è riciclabile per una citazione a effetto. Per esempio: «abitavo in un altro pianeta, credevo ci fossimo lasciati quel mondo alle spalle: non avevo capito che nulla passa mai veramente» e al capitolo successivo: «l’idea che lo Stato possedesse una qualche forma di superiorità etica sul privato era profondamente radicata dentro di me».
Il Mago del Cremlino parla dell’anima russa
In un altro scritto avrei detto che si trattava di un errore, ma l’artificio nel parlare si adatta bene alla rappresentazione dei russi, della loro anima. Alla prima lezione di Letteratura Russa ci spiegarono che la storia russa è segnata dal dualismo. Da una parte l’accettazione incondizionata (quasi come un’espiazione) di ogni sopruso, dall’altra la rivoluzione più totale; la spiritualità contro il materialismo completo; la spinta verso l’Asia opposta alla spinta verso l’Europa. L’elenco potrebbe essere ancora lungo. Non a caso nel libro viene detto che molti russi di oggi hanno come modello l’uomo forte (Stalin, Lenin, Ivan il terribile) e non, come i russi di una volta, gli uomini di cultura (Puškin, Gogol, Tolstoj). Attenzione, non prendete questa affermazione come verità, è quanto pensa Baranov. Non ho fatto abbastanza studi per confermarla.
Berezovskij, Ksenia e Dostoevskij: “gli esclusi”
Dostoevskij viene lasciato fuori dall’equazione, volontariamente penso, per motivi che sono da ricercare nella sua biografia personale. Ha subito l’esilio in Siberia, aveva un temperamento spesso ostile. Probabilmente Dostoevskij ancora oggi ricorda a tutti (russi e non) la nostra natura umana e fallibile. Fa venire in mente cose che i personaggi de Il Mago del Cremlino non vogliono sentire, se non in punto di morte.
Due personaggi del romanzo incarnano perfettamente il “dualismo russo”: Ksenia, l’interesse amoroso del protagonista, e Berezovskij. Entrambi intelligentissimi, capaci di piani politici a lungo termine, di ragionamenti astratti che sfuggono a chiunque, ma poi si perdono in bicchieri d’acqua. Nel caso di Berezovskij il bicchiere d’acqua è Vladimir Putin.
Uno sguardo all’attualità
A sua volta Putin avrà un bicchiere in cui perdersi. Forse anche da molto vicino. Lo scorso 23 giugno Prigožin, uno di quegli amici non-amici di cui accennavo prima, ha messo in atto un tentativo di “marcia su Mosca”. Questo “ribelle” è il leader del gruppo militare Wagner (che doveva essere l’armata personale dello Zar, dall’ideologia politica terribile). Lo scorso 23 giugno le truppe ufficiali hanno bloccato le truppe Wagner a 200 chilometri da Mosca. Il golpe è fallito. Prigožin si è forse arreso o è ancora sul piede di guerra?
Impegnata tra libri e scacchi, in movimento tra Padova e Torino, sempre con una forte dose di sarcasmo.