Il maschilismo è un problema di tutti, uomini e donne
Il 25 novembre scorso è stata la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Non solo contro la violenza fisica, quella che ci viene in mente quando parliamo di queste cose, ma anche contro i tanti stereotipi maschilisti con cui le donne devono confrontarsi sin da quando sono piccole: dall’infantile «principe azzurro che salva la principessa» (ma mai il contrario, chissà perché) al disgustoso «ti vesti in modo provocante, ovvio che poi vieni come minimo importunata».
Il problema si ingrandisce quando si allontana la lente di ingrandimento da queste situazioni, già di per sé sintomo di una società in cui più di qualcosa non funziona, e si guarda la realtà nel suo insieme. Il maschilismo può ferire e uccidere chiunque non si adatti allo stereotipo che si vuole imporre. Non importa che tu sia uomo o donna, devi comportarti in un certo modo se no ecco che arriva l’attacco verbale o, nel peggiore dei casi, fisico.
Il maschilismo, o cultura del patriarcato che dir si voglia, è una delle tante aberranti forme di conformismo, a volte più evidente a volte molto più sotterraneo e impercettibile, ma non per questo meno deleterio. Tutti noi ci scandalizziamo e ci indigniamo quando una donna viene picchiata o uccisa in quanto donna, e questo ovviamente è tanto ovvio quanto lecito, ma le molteplici forme di questa cultura dominante si ripercuotono anche in modo meno definitivo e quindi meno lampante. E vittima potenziale è, indipendentemente dal suo genere, chiunque non si adegui al pensiero maschilista diffuso.
Per spiegare meglio quello che sto dicendo vi porto una pillola della mia esperienza. Non sono mai stato un ragazzo «maschio» nel senso più avvilente del termine: non ho mai apostrofato in modo sessista nessuna donna, non ho mai pensato di dover esibire la mia mascolinità (che poi, che cazzo vuol dire?), non ho mai giudicato le scelte sessuali o esistenziali di qualcuno e nemmeno ho mai partecipato a quelle «mache discussioni» (molto più diffuse di quanto si pensi e per questo generalmente accettate) su quanto siano belle le tette di una o che cosa sarebbe bello fare a letto con un’altra. Nonostante questo, o forse proprio per questo, sono stato vittima del maschilismo in un modo subdolo e per questo tutt’altro che palese. Un esempio? Eccovelo.
Scatto spesso foto di nudo, come chi mi segue su Instagram saprà. Questo, ovviamente, mi porta a relazionarmi con persone – spesso di genere femminile – che devono stare nude davanti a me. Ebbene: una situazione come questa, che dovrebbe e vorrebbe essere solo un hobby e un’espressione di creatività, porta molto spesso a due spiacevoli giudizi basati su stereotipi maschilisti:
1. La ragazza che ritraggo, visto che si è spogliata nuda davanti a me magari (ecco l’aggravante) la prima volta che ci siamo incontrati, è sicuramente una poco di buono, una donna con evidenti problemi di esibizionismo e quindi degna del biasimo sociale.
2. Io, da «maschio» quale sono, è ovvio che – prima o dopo gli scatti – con questa ragazza ci ho fatto sesso. E lei, in quanto poco di buono, non poteva certo rifiutare: d’altronde era nuda davanti a me, anche se non avesse voluto andare a letto con me, un po’ se l’era cercata. E se proprio non ci ho fatto sesso, la sua nudità deve aver scatenato in me l’istinto predatorio che mi dovrebbe caratterizzare in quanto «maschio». Se tutto questo non succede – e nella realtà non succede mai – ecco che io sono «meno maschio» perché non rispondo ai canoni del macho.
Se poi, come è successo, agli shooting di nudo è presente anche la mia compagna, per la società maschilista siamo una coppia di depravati. Quando invece è una situazione di normalità: la persona che amo mi dà una mano a dedicarmi al mio hobby.
La violenza di genere non fa distinzioni, purtroppo. Nessuno di noi è salvo, a meno che non corrisponda allo stereotipo dominante di una società malata di maschilismo. Lungi da me fare paragoni azzardati, la mia testimonianza vuole solo ricordarci – per parafrasare un poeta – che «per quanto noi uomini non maschilisti ci crediamo al sicuro, siamo lo stesso coinvolti» e per questo è anche nostro dovere individuale e sociale combattere un machismo che può uccidere chiunque, noi inclusi.
Le battaglie diventano più efficaci quando si allarga la platea delle persone che riguardano. La lotta al maschilismo non è una «cosa da donne», ma una lotta che riguarda tutti coloro che non vogliono vivere in una società di patriarcato autoritario.
La violenza inizia quando non si è liberi di essere se stessi senza dover subire uno stigma sociale.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia
Tito, in genere non commento mai sul web, ma questo pezzo che hai scritto è veramente da sottolineare, per quello che hai scritto, per come l’hai saputo scrivere. Bravissimo
Alberta Angelini