Il mio spazio
Dell’Italia sento la mancanza. In particolar modo, sento la mancanza dei miei piccoli e privatissimi riti. Ognuno di noi ha delle manie, delle ossessioni e delle abitudini. Si fa ricorso ad esse quando, soprattutto, attorno tutto sembra crollare o cambiare velocemente. Quando sono stanco, annoiato, preoccupato, confuso ero solito rifugiarmi in una libreria. Le libreria sono luoghi fuori dal tempo. Passeggiando lungo i corridoi e guardando le scaffalature ricolme di libri, torno a respirare. E’ come se entrassi in una nuova dimensione, esterna ed estranea alla mia vita. Mi accompagno solo i miei sensi. Tramite questi percepisco gli odori delle pagine e degli erranti come me. Tocco ed assaporo con le dita gli involucri esteriori della sapienza umana. Leggo stralci di testi uno dietro l’altro, così spostandomi a forsennato ritmo lungo la linea del tempo.
Ricordo una delle ultime volte in cui sono entrato in una libreria. Avevo accumulato tanta tensione e mi sentivo esausto e privo di orizzonte. Avevo violato svariate leggi, ero scappato di casa, eseguivo ordini impartiti da una organizzazione segreta e, dunque, non sapevo più chi ero, da dove venivo e dove sarei andato. Con questo stato d’animo sono entrato in un libreria del centro di Roma. Mi sono bastati pochi passi per immergermi nella condizione che vi ho evocato poco sopra. A differenza di altre volte non mi precipitavo a leggere. Con lo sguardo mi soffermavo sugli altri come me. Seduti, in piedi, addormentati, giovani, anziani, voraci lettori. Non mi sono limitato all’osservazione. Quella volta volevo parlare ed ascoltare le loro storie. Volevo capire. Cercare di capire. Volevo sapere se quel senso di inquietudine che provavo e che provo, come se una tragedia collettiva fosse imminente, fosse condiviso. Non ho trovato quello che cercavo. Però, ho ascoltato tre storie che mi hanno aperto nuovi orizzonti: «Ho passato gli ultimi trenta anni della mia vita in carcere. Ho scontato la giusta pena per un delitto che non ho commesso. Mi sono assunto la responsabilità di un omicidio assurdo e violento perché non volevo che la donna che amavo vivesse l’inferno che ho vissuto io. Ad Anna non piaceva la cordialità e la confidenza che si era venuta a creare fra me e sua sorella. Le scenate di gelosia era all’ordine del giorno. Urla e colluttazioni erano frequenti. Una sera, tornato a casa dal lavoro, vidi quel che mai avrei immaginato di poter vedere. La mia futura cognata sdraiata a terra, priva di via e in un lago di sangue. Capivo solo che le erano state inferte numerose coltellate. Cancellai le impronte di Anna dal coltello. Mi sporcai con il sangue e mi feci trovare disteso accanto al cadavere. Anna si è rifatta una vita. E’ felice e sta per diventare nonna. Le ho salvato la vita, sacrificando la mia. Fuori da questo luogo è tutto cambiato. Non so parlare e costruire relazioni sociali. Ho perso tutto. Ma la sofferenza che ho patito e che patisco è stata superata quando ho visto Anna e la sua famiglia. Dalla mia vita non potevo pretendere di più».
«Ho lasciato il mio cane nell’auto. Devo sbrigarmi, per evitare che mi portino via entrambi. Mi chiamo Maria. Grazie per avermi fatto risparmiare del tempo. Senza di te non avrei trovato il libro e avrei rischiato di non rotolarmi più sul prato con il piccolo Jack. Questa sera andrò ad ascoltare questo concerto. Adoro il pianoforte. Doveva venire una mia amica con me ed invece sarò sola. Ho questo biglietto, prendilo. Se vuoi, ci vediamo questa sera». Sono uscito dalla libreria e davanti a me si manifestava, con la solita irruenza, la città: automobili, clacson, il vociare, il rumore dei passi di migliaia di persone in pochi metri quadri. Sono riuscito ad isolare un’immagine in movimento. Quello che sembrava essere un uomo d’affari, indaffarato e senza troppo tempo da perdere, aveva preso sottobraccio una vecchina per accompagnarla durante l’attraversamento della strada. Non nobis solum nati sumus. Non nobis solum nati sumus. Non nobis solum nati sumus. Ma quell’uomo non era solo in quel gesto. Era un deputato della Repubblica Italiana. Doveva morire, dovevo ucciderlo.