«Il mondo nuovo» di Huxley tra eugenetica e consenso
Dopo aver analizzato la trasformazione tra utopia e distopia, proviamo a entrare in un’analisi della distopia principale del 1900: «Il mondo nuovo», di Huxley. L’opera è il tassello fondamentale del modello distopico, in quanto negli anni è stata oggetto di continue rifunzionalizzazioni nelle distopie successive, che si sono servite della strada tracciata da Aldous Huxley per poi modellare nel dettaglio un mondo differente. Tuttavia, a un’attenta analisi non può sfuggire il legame esistente, che mantiene l’opera del britannico ancora giovane nonostante i suoi 88 anni.
«Il mondo nuovo» si inserisce in un’attenta analisi che tocca il legame esistente tra politica, scienza eugenetica e consenso, utilizzando la paura della catastrofe, instillata nel popolo dalla propaganda di regime, come strumento di controllo delle masse. Ma attenzione: il popolo percepisce questa costruzione come utopica, perfetta, salvo qualche singolo cervello illuminato.
Il primo tassello fondamentale dell’analisi parte dalla catastrofe, che si porta a braccetto il sentimento della paura, utile in chiave propagandistica. La «Guerra dei nove anni», che nell’opera si percepisce di riflesso come evento accaduto nel passato, ha portato il popolo ad accettare un regime pur di ritrovare la pace e non rivivere più un altro conflitto. È un patto dare-avere: il popolo cede libertà in cambio di sicurezza.
Come fa il popolo a percepire questo mondo come utopico? Il perno di questo ragionamento è l’ingegnerizzazione riproduttiva che sta alla base della società costruita da Huxley. Tale società si basa sul controllo del processo riproduttivo ed evolutivo, dove l’avanzamento della scienza (stiamo parlando dell’anno di Ford 632, ovvero del nostro 2540) ha permesso l’applicazione di una complessa catena di montaggio anche all’atto della riproduzione. Il feto si sviluppa attraverso vari passaggi e ottiene un’intelligenza direttamente proporzionale alla quantità di ossigeno con cui è stato trattato. Questo elemento in particolare genera una suddivisione già in partenza in classi sociali, dagli Alfa fino agli Epsilon. Ogni bambino sarà poi trattato opportunamente con un’educazione ipnopedica, che gli insegnerà ad amare i ruoli assegnati alla sua classe sociale e ad avere un disprezzo verso le altre funzioni sociali. In questo modo, Huxley annulla subito l’opportunità che si sviluppi la lotta di classe di stampo marxista. L’invecchiamento si stopperà definitivamente all’età di 30 anni, dando perenne gioventù fisica, salvo poi morire obbligatoriamente a 70 anni: la ciminiera del crematorio di Slough non può non portare alla mente le atrocità naziste, che Huxley riuscì a intravedere già prima della presa del potere Hitleriano.
Ma questo totalitarismo è soffice, apparentemente piacevole: ecco perché Houellebecq si spinse a definire la distopia di Huxley come un’utopia per la società attuale. Sesso senza freni, ma senza alcun legame familiare stabile; il «Soma» a volontà, una droga senza effetti collaterali pesanti; una funzione sociale data dalla classe di nascita, che include tutti, perché ognuno ha un ruolo definito in questa società; e inibizione per via educativa alla volontà di cambiamento.
Perché tutto questo regga, però, serve inibire la funzione storica. Lo si fa cancellando il passato precedente all’instaurazione del regime, letteratura compresa. Senza analisi di ciò che sarebbe potuto essere, il popolo, già condizionato, non potrà desiderare altro che il mondo consumistico e vacuo costruito attentamente dal regime.
La distopia di Huxley, in definitiva, si basa sull’applicazione del sogno irrealizzato: ogni individuo sogna di essere ciò che già è. L’interesse individuale s’incastra perfettamente con l’interesse generale. Questo permette una distopia percepibile in superficie come petalosa. E se qualcuno dovesse risvegliarsi dal «Sogno», ci sono sempre le isole, dove confinare e aprire a una ritrovata libertà dal regime. Liberi ma confinati, per non distruggere l’impianto sociale totalitario.
Huxley ci ha offerto uno spaccato distopico che deve portarci a ragionare sul presente. Anche la nostra società si regge su una distopia petalosa? Per chi scrive la risposta è affermativa e la raffigurazione è insita nella bandiera blu stellata dell’Unione Europea.
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.