Il PD e quel voto per finanziare la Guardia Costiera libica

Dopo la cacciata di Matteo Salvini dal Ministero degli Interni, il governo giallorosso insediatosi lo scorso settembre aveva promesso un cambio di rotta rispetto alla politica dei porti chiusi. Una svolta che, nei fatti, non si è mai realizzata. Il 16 luglio scorso il Parlamento italiano ha approvato il rifinanziamento delle missioni militari internazionali e stanziato 58 milioni di euro per la missione in Libia, di cui ben 10 milioni saranno destinati alla Guardia Costiera libica. A votare a favore del rifinanziamento nella seconda votazione, quella in cui si è compreso anche l’impegno in Libia, sono stati 401 parlamentari. I numeri parlano da soli: per raggiungere una quota tale di voti favorevoli la maggioranza di governo, Pd e M5S, devono aver votato in blocco allineati, per ovvie ragioni, al voto del centrodestra. 

Nulla di nuovo dunque sul fronte del centrodestra e, in parte, del M5S che, in fin dei conti, sono rimasti fedeli alle proprie convinzioni votando coerentemente con quanto da sempre sostenuto in campagna elettorale e nei fatti. A lasciare interdetti è però senza dubbio la presa di posizione, o forse proprio la mancata presa di posizione, del Partito Democratico. Dopo mesi passati a contestare i decreti sicurezza durante il tempo trascorso all’opposizione, delle promesse di modificarli una volta arrivati al governo non si è vista nemmeno l’ombra e oggi, dopo quasi un anno all’esecutivo, il Pd ha deluso ancora una volta per l’incapacità dimostrata nell’indirizzare la politica del Paese tanto all’opposizione quanto da Palazzo Chigi. 

Non sono bastate dunque le voci di quanti all’interno del principale partito di centrosinistra del Paese hanno espresso la propria indignazione per quanto accaduto in Aula e che, a conti fatti, sono rimaste isolate. Tra queste c’è quella di Laura Boldrini che in merito alla questione ha dichiarato: «Sostenere la Guardia Costiera libica significa mettere la testa sotto la sabbia e significa, nei fatti, sostenere l’illegalità, la violazione dei diritti umani e del diritto internazionale». 

La verità è che, come ha sostenuto la Boldrini, dal 2017, anno in cui l’Italia firmava il Memorandum d’intesa con la Libia, il contesto è cambiato. In questi tre anni la produzione di inchieste giornalistiche e di rapporti, stilati ora dall’ONU ora da varie organizzazioni umanitarie e aventi come oggetto il disumano trattamento riservato ai migranti nei campi di detenzione libici, è stata tale da rendere ad oggi ingiustificabile la linea impostasi il 16 luglio in Parlamento. Se in quel non troppo lontano 2017 i primi finanziamenti alla Guardia Costiera libica potevano essere dunque considerati una colpa di cui la classe politica italiana si era macchiata, forse, inconsapevolmente, oggi fare finta di non sapere che la Libia non è un porto sicuro e ignorare il fatto che il rifinanziamento contribuirà alle violenze nei campi di detenzione è una vergogna per uno Stato che, almeno sulla carta, si dice difensore delle libertà democratiche. 

Così, tra mancate modifiche al decreto sicurezza Salvini, non pervenuta rettifica del Memorandum con la Libia e voto favorevole allo stanziamento di ulteriori finanziamenti per i trafficanti d’esseri umani nel Mediterraneo, la politica italiana, la sinistra in particolare, ha perso l’ennesima occasione per salvaguardare una democrazia che alla luce dei recenti eventi appare come una  mera democrazia di facciata.