Il pensiero rivoluzionario di Antonio Genovesi
Antonio Genovesi fu un economista e filosofo napoletano vissuto nel XVIII secolo. Da giovane ebbe una formazione gesuita e ricevette gli ordini minori, ma un suo innamoramento portò il padre a trasferirlo, a Buccino, dove proseguì gli studi. Divenne sacerdote nel 1737 e si stabilì a Napoli, dove nel 1739 aprì una scuola privata di metafisica e teologia. Due anni più tardi ottenne la cattedra di metafisica all’Università di Napoli; qui venne accusato di eresia per alcune posizioni teologiche contenute nel suo libro «Elementa Metaphysicae» pubblicato nel 1743, solo l’intervento del Papa gli evitò la scomunica. In campo politico, le sue idee furono quelle dei lumi, una posizione fortemente anticlericale e antigesuitica, il desiderio di uno stato laico e completamente libero da qualsiasi interferenza religiosa, una monarchia illuminata.
Nonostante questa sua posizione tipicamente borghese, Genovesi auspicava una diversa organizzazione in campo economico e sociale. Nel 1764, nella lettera diretta a un immaginario interlocutore disse: «È la povertà, è la miseria, è il bisogno, è l’ignoranza, che o fa degli uomini crudeli e sanguinari; o spianta le famiglie, spopola le nazioni, impoverisce a poco a poco piccoli e grandi, e il sovrano infine. Opprime lo spirito, deturpa le arti, e le sbarbica: rende le nazioni prima schiave e poi le caccia in campagna siccome bestie feroci. Vien la legge, e dice: bruciato il parricida, squartato l’omicida, mutilato il falsario, esiliato il vendicatore della giustizia, deportato… Adagio! I medici che non curano che i sintomi non sono de’ gran fisici (2). Direi io, educate; date prima da mangiare, da bere, da vestire, da abitare, da bruciare legna nel focolare, allargate le nozze e rendete agevole il sostenere una famiglia; arti, perché si viva: arti perché si sappia pensare: rischiarate le menti degli uomini sui veri loro interessi».
L’autore vede la povertà come il fattore che può portare alla criminalità, all’emarginazione sociale, alla disperazione. Di fronte alla necessità, alla fame, anche le persone più integerrime possono cedere e assumere comportamenti moralmente deprecabili. Per questo, egli propone come soluzione, un cambio radicale a livello economico. Genovesi era convinto che la persona fosse l’equilibrio di due forze: quelle dell’interesse per sé e della solidarietà sociale; il soggetto gli appariva come una realtà relazionale fatta per la reciprocità. Di qui la sua idea di mercato come «mutua assistenza»: un’economia volta alla pubblica felicità, dove al centro viene messo l’uomo e le sue relazioni; una completa rivisitazione dei concetti di mercato e impresa, non solo luoghi volti alla consecuzione del mero profitto, ma luoghi ove intrattenere rapporti di amicizia e fraternità con i propri simili. Il cardine di tutta la sua riflessione è rappresentato dal principio di relazionalità come costitutivo della persona: «Niuno stato umano è da reputarsi più infelice quanto è quello di essere soli, cioè slegati da ogni commercio de nostri simili. È un detto di Aristotele bello e vero, che è forza che l’uomo solitario e contento di sé solo sia o divinità o una bestia».
Il pensiero di Antonio Genovesi può essere definito veramente rivoluzionario, ancor di più se consideriamo l’epoca in cui queste idee vengono elaborate. Si nota, come il pensiero di un altro autore, dello stesso periodo, abbia influito in modo significativo nelle idee dell’autore, ovvero, Adam Smith. Infatti, pur essendo entrambi liberali e favorevoli al libero mercato sono anche consapevoli delle storture che ne possono derivare e soprattutto Genovesi è cosciente, di quanto sia importante l’intervento dello Stato in campo economico, per raggiungere, quegli obiettivi, di solidarietà e mutua assistenza, che gli sono tanto cari. Egli, può essere visto, sotto certi aspetti, anche come un anticipatore di Keynes, infatti; consapevole delle storture del mercato, ritiene che si debbano esportare solamente quei prodotti, che non si possono produrre localmente.
Molte delle idee dell’economista napoletano possono risultare tutt’oggi valide e persino, per certi versi, rivoluzionarie, in un contesto, in cui le idee dell’infallibilità del mercato e dell’ideologia neoliberale sono ahimè ancora imperanti.