Il reddito di cittadinanza induce realmente alla pigrizia e al parassitismo? La risposta è sorprendente
Da un anno e nove mesi esiste il reddito di cittadinanza, la misura di contrasto alla povertà, alla disoccupazione e all’esclusione sociale dal valore di 26 miliardi di euro, che sostiene nel 2020 i fabbisogni vitali di circa 3 milioni di individui.
Celebrato come la misura bandiera del Movimento 5 Stelle, non amato ma approvato dalla Lega nella precedente esperienza di governo, accolto a mani basse dal Partito Democratico durante l’emergenza pandemica, il reddito di cittadinanza costituisce il più ambizioso progetto di politica attiva del lavoro mai realizzato in Italia.
Ora non basta più. Mentre, a fronte della crisi economica, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, lancia la proposta di un salario minimo europeo, il dibattito accademico esplode dinanzi alla lettura delle dirompenti pagine di Capitale e Ideologia, la nuova opera monumentale di Thomas Piketty, l’economista francese che vuole sfidare le diseguaglianze sociali e avviare l’inizio di un nuovo socialismo.
Insomma, nel globo c’è qualcuno che vuole alzare la posta in gioco.
La statunitense Alexandra Ocasio-Cortez, paladina del Green New Deal e alleata di Sanders, i multimiliardari Zuckerberg, Gates e Musk, proprietari dei più grandi colossi digitali e tecnologici del mondo, e perfino Beppe Grillo, il comico che ha rivoluzionato il teatro politico italiano, trovano oggi convergenza su uno strumento tanto antico nella sua elaborazione teorica, quanto recente nella sua applicazione concreta.
Stiamo parlano del reddito universale di base, altrimenti detto Universal Basic Income (UBI), un’erogazione monetaria destinata a tutti gli individui, senza distinzione di sesso, età, etnia, classe sociale, indipendentemente dallo svolgimento di un’attività lavorativa o dall’impegno di ricercare un’occupazione, e per tutta la durata della loro vita.
È un dividendo sociale, parte della ricchezza prodotta annualmente dalla Nazione e redistribuita tra tutti i cittadini che cantano lo stesso inno sotto la stessa bandiera, eguali individui ed eguali azionisti di una società ove vige eguaglianza.
Senza obblighi e senza domande ciascun membro della società avrebbe sufficienti risorse per l’alimentazione, l’abbigliamento, l’istruzione, le cure sanitarie e l’accesso ai trasporti.
Tutti liberi dal bisogno, tutti liberi dalla paura, potremmo decidere di perseguire una vita orientata alla considerazione per le relazioni sociali, allo sviluppo di passioni non remunerate, al conseguimento di un lavoro dignitoso.
L’apparato burocratico adibito all’amministrazione del Welfare State vedrebbe ridotto il proprio costo ed espansa la propria trasparenza.
I consumi medi di ciascun nucleo familiare crescerebbero, promuovendo lo sviluppo economico e accelerando l’uscita dalla recessione, mentre l’ingresso sempre più ingombrante dell’automazione robotica non costituirebbe motivo di regresso economico per i milioni di prossimi disoccupati, anzi agirebbe da incentivo all’investimento nella formazione intellettuale, per la liberazione dell’uomo dall’utilizzo della macchina e la conquista definitiva del lavoro creativo.
Ai tanto animati sostenitori, tuttavia, si oppongono i tanto accessi avversari del reddito universale, istituto dalle straordinarie potenzialità di innovazione, ma pur sempre percepito drastico e radicale, da una società non ancora pronta a digerire un cambio di paradigma, l’emersione di una nuova ideologia del lavoro e del capitale.
Così, prima di imbattersi nell’adozione strutturata di una riforma dai non comprovati effetti, la Repubblica Federale Tedesca (2020) e lo Stato di California (2018) hanno coraggiosamente stabilito di inaugurare distribuzioni sperimentali del reddito universale, per analizzare insieme ad esperti ricercatori se il progetto è capace di generare considerevoli benefici, oppure produttivo di indesiderabili svantaggi.
In Italia, invece, l’approccio al reddito universale risulta timido e poco decifrabile. Occorre osservare, infatti, come, nel contesto politico-sociale italiano, il dibattito quotidiano sia fortemente indirizzato alla critica negativa dell’assai meno avanzato reddito di cittadinanza, raffigurato come sussidio assistenziale, demotivante e facile preda degli imbroglioni.
Il percettore, spesso descritto come un nullafacente dagli intenti parassitari, tormenta l’aspirante datore di lavoro, anima operosa afflitta dai costanti rifiuti, e, con la sua maleducata ignoranza, dalla bassezza della sua poltrona mal cucita, traghetta il Bel paese sul fondo del fallimento. Ogni evento di cronaca adattabile a questa narrazione viene abilmente adoperato per dimostrare che il fumetto è universale realtà, che i furbetti e i criminali esultano, mentre il povero non troverà mai stabile soddisfazione.
Ciò che sollecita, allora, la nostra curiosità è la sua seguente domanda:
il reddito universale è realmente capace di indurre gli individui all’abbandono del lavoro, assuefacendo gli animi ad un’esistenza passiva e pericolosa per la salute del mercato?
Se sì, il quadro descritto dalla società italiana sul reddito di cittadinanza, misura di sostegno al reddito che, a differenza del reddito universale, permane pur sempre condizionato e temporaneo, potrebbe acquisire notevole forza?
Ad offrirci una visione su come il reddito universale potrebbe modificare l’approccio al lavoro è Guy Standing, economista e sociologo britannico, fondatore del Basic Income Earth Network, rete di studiosi e associazioni che a livello globale lavora su esperimenti locali di reddito universale.
I risultati delle sue ricerche sono sorprendenti. Contrariamente all’opinione intuitiva e comune, la maggioranza degli individui testati non ha espresso la volontà di cessare qualsiasi attività lavorativa, ma, al contrario, ha indicato come necessario un cospicuo investimento nell’educazione e nella formazione al fine di raggiungere una posizione lavorativa qualificata e ben remunerata. Secondo gli studi pilota, tali scelte sarebbero condizionate da un minor grado di angoscia e insicurezza circa il futuro, capace di stimolare le persone alla ricerca di un lavoro e di donare all’inoccupato un ottimo livello di benessere psicofisico, indispensabile per il conseguimento di energia e motivazione.
Una ricerca occupazionale più elevata si è registrata negli individui, già ricevitori, attraverso le attività lavorative svolte, di un reddito più basso, mentre, come confermato da uno studio operato in Finlandia e i cui risultati sono stati pubblicati dalle autorità statali, il livello occupazionale è rimasto mediamente invariato.
Ciò significa che, sulla base dei dati sperimentali acquisiti, una misura a sostegno del reddito universale, incondizionata e permanente, non ha l’effetto di ostacolare la ricerca del lavoro.
A fortiori, come dimostrato da uno studio del professore Massimiliano Serati, docente di economia politica presso la LIUC- Università Cattaneo, una misura condizionata e temporanea, quale il reddito di cittadinanza, che espone il beneficiario al rischio di permanere in stato di disoccupazione alla scadenza dell’erogazione, non produce affatto una contrazione dell’occupazione, al contrario contribuisce a determinare l’aumento dell’occupazione e della partecipazione al mercato del lavoro.
In conclusione, la burocrazia e gli incentivi fiscali non hanno il potere di ostacolare la ricerca del lavoro, né di ridurre o aumentare considerevolmente il livello occupazionale, ma hanno certamente la capacità di infondere benessere, sicurezza, motivazione, fiducia nella società e nelle istituzioni.
Rammentiamo bene queste informazioni, quando verrà data di qualsiasi povero la raffigurazione di un truffatore.
Classe 2000, figlia del XXI secolo e delle sue contraddizioni. Ho conseguito la maturità presso il Liceo Classico Eschilo di Gela e frequento la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Trento