Il sonno culturale: come la vita moderna condiziona il riposo
L’uomo adulto ha la necessità di dormire tra le 7 e le 9 ore per notte. Con l’età diminuisce gradualmente la necessità di dormire: mentre i neonati hanno bisogno anche di più di 15 ore di sonno al giorno, agli anziani solitamente bastano meno di 7 ore. Nella società odierna il sonno viene definito culturale, cioè l’individuo va a dormire a una certa ora considerando ciò che ha da fare e non soltanto in base alla sensazione di stanchezza. Allo stesso modo, la maggior parte delle persone si alza presto perché deve andare al lavoro o a scuola, non perché si sveglia spontaneamente. Il sonno culturale è opposto a quello fisiologico, che sarebbe dettato esclusivamente dai ritmi circadiani di alcuni nuclei cerebrali e che nella nostra quotidianità non esiste. Spesso si dorme meno di quanto sarebbe corretto: a cosa può portare quindi la carenza di sonno?
Il record mondiale di privazione di sonno è detenuto da Randy Garner, che nel 1964 trascorse 11 giorni e 25 minuti in costante stato di veglia. Ciò causa alterazioni cognitive notevoli, in particolare psicosi, con allucinazioni di natura uditiva e visiva.
Molte ricerche sono state condotte negli ultimi decenni a proposito degli effetti della deprivazione di sonno totale («total sleep deprivation», TSP). Un lavoro dell’anno scorso (Chua et al., «Effects of total sleep deprivation on divided attention performance», 2017) ha studiato un gruppo di ventenni privati di sonno per 40 ore consecutive e i risultati hanno mostrato un tempo di reazione molto maggiore, ma soprattutto grosse difficoltà a compiere compiti multipli che prevedessero una minima capacità di multitasking. Una deprivazione specifica del solo sonno REM ha invece effetti sulla memoria, quindi si pensa che la fase REM serva per consolidare alcuni meccanismi di ricordo.
Per l’applicazione alla vita di tutti i giorni è però più interessante sapere quali alterazioni sono causate da una carenza di sonno contenuta, denominata «partial sleep deprivation» (deprivazione di sonno parziale, PSD). Questa è spesso cronica e molto diffusa nella nostra società: negli Stati Uniti, circa il 40% degli adulti ha regolarmente un sonno breve, cioè di circa 6 ore o meno. Uno studio del 2017 (Demos et al., «Partial sleep deprivation impacts impulsive action but not impulsive decision-making») ha confrontato le reazioni di alcuni volontari, per registrare i cambiamenti tra la performance dopo aver dormito circa nove ore per quattro giorni di fila e la performance dopo aver dormito circa sei ore per quattro giorni di fila. Ai soggetti veniva mostrato uno schermo che mostrava una lettera al secondo e il loro compito era di premere un pulsante quando veniva proiettata qualsiasi lettera tranne X, mentre di non premerlo quando vedevano la X. Questo setting serve per valutare la capacità di agire impulsivamente e velocemente: è stato rilevato un significativo aumento degli errori nel caso dell’esposizione a sole sei ore di sonno. In più, i soggetti solitamente abituati a dormire di più hanno riportato maggiore impatto rispetto a quelli già adattati a una carenza di sonno cronica.
La carenza di sonno cronica potrebbe inoltre aumentare il rischio di depressione, soprattutto nelle donne (Conklin et al., «Chronic sleep deprivation and gender-specific risk of depression in adolescents: a prospective population-based study», 2018). In più, è stato dimostrato che in caso di riduzione del sonno compaiono deficit di memoria a breve termine e diminuzione delle capacità associative, il che è probabilmente dovuto a un calo dell’attenzione.
Sono una studentessa della facoltà di Medicina e Chirurgia di Torino.
Scrivo principalmente di argomenti scientifici, tentando di divulgare ciò che più mi appassiona.