Il super green pass e le sue implicazioni
La citazione posta in apertura è estrapolata dalla seduta dell’8 marzo 1947 dell’Assemblea Costituente, avente come oggetto il diritto al lavoro. Le parole del socialista Ghidini oggi sono più che mai attuali laddove, con il nuovo decreto discusso in Consiglio dei Ministri, a partire dal 15 ottobre 2021, tutti i lavoratori, pubblici e privati, potranno accedere nel luogo di lavoro esclusivamente se dotati di green pass in corso di validità. Si tratta di un ennesimo spartiacque, del ribattezzato «Super Green Pass».
Avviando una riflessione sul tema, non si può che partire dall’articolo 4 della Costituzione. Con esso, la Repubblica riconosce il diritto al lavoro a tutti i cittadini, con «affidamento all’avvenire» (Cit. Ghidini), dunque a un percorso politico nel solco della Costituzione. Ebbene, riconoscere un diritto significa attribuirlo a qualcuno, ammetterne l’esistenza. Questo ennesimo passo dell’esecutivo, formalmente non impedisce a nessun cittadino di potersi recare nel luogo di lavoro con le «carte in regola», dunque non arriva a negarlo, ma di fatto lo rende finanziariamente insostenibile per le classi sociali meno abbienti: se arrivare a fine mese è già un’impresa, farlo dovendosi sobbarcare anche l’incremento delle uscite dovute ai costi dei tamponi lo è ancor di più. Si tratta di una spaccatura netta, specie considerando il lavoro come fondamento repubblicano. Non si può ignorare il presupposto fondamentale che sta alla base della contesa: a legislazione vigente, essendo il vaccino una facoltà che i cittadini possono volontariamente esercitare, essi sono certamente nella legalità, sia che l’abbiano o non l’abbiano esercitata. Ne consegue che una parte di cittadini, pur avendo portato avanti una condotta perfettamente legale, sia stata investita da un insieme di atti di discriminazione.
Tali atti vengono vietati all’origine della normativa istitutiva del green pass, il regolamento UE 2021/953, contenente il divieto di discriminazione diretta e indiretta dei non vaccinati, anche per scelta. Tale regolamento specifica di non essere interpretabile come l’istituzione di un «diritto o un obbligo a essere vaccinati». In soldoni, ciò che si è permesso di far notare Alessandro Barbero, ricevendo l’immediata indignazione degli intellettuali d’oggi. Ecco, tale oggetto di discussione non è solo mero formalismo.
Da qui nasce il paradosso che investe la strategia dell’esecutivo: voler costruire un obbligo mascherato per far aumentare la percentuale di vaccinati, non volendosi assumere la responsabilità politica di porlo in essere in via ufficiale. Ciò, con questo ulteriore passo, ripropone la discriminazione precedentemente validata a livello di godimento individuale di altri diritti, ma fino a oggi non ancora generalizzata nell’ambito del diritto al lavoro. Orlando, Ministro del Lavoro, ha dichiarato che la sanzione derivante dalla violazione sarà la sospensione del lavoratore, e che tale meccanismo si azzererà al termine dell’emergenza. Ecco, il termine dell’emergenza. Il tema dei temi.
Su quest’ultimo punto è intervenuto Cacciari in quel di LA7, chiedendosi su quali basi, magari algoritmiche, si potrà arrivare a sancire il termine dell’emergenza. Non poteva che arrivare alla conclusione che, al suo continuo prolungarsi, uno stato d’emergenza si trasforma in uno stato d’eccezione: la sospensione dichiarata dell’ordine giuridico abituale, di certe garanzie costituzionali. Anch’esso vive con noi, senza però essere formalizzato, proprio come l’obbligo.
Come paventò Ghidini, siamo a una limitazione dei diritti sul lavoro, l’ennesima. Il termine della limitazione si proietta verso il futuro, ostaggio dei continui prolungamenti dello stato d’emergenza (anzi, d’eccezione, come espresso da Cacciari).
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.