Il vaccino risponde alla legge del più forte

Da venerdì l’Italia intera si muoverà al ritmo di green pass. Per mettere piede in un museo o in un ristorante la regola sarà la stessa per tutti: essere dotati di certificazione verde COVID-19 attraverso cui attestare l’immunità, almeno parziale, del soggetto al contagio e di conseguenza la ridotta probabilità che questi possa trasmettere il virus a persone terze. Con l’autunno ormai alle porte il green pass dovrebbe dunque scongiurare il rischio di inaspettate e stringenti chiusure alla ripresa delle attività scolastiche e lavorative e non c’è dubbio che, almeno sulla carta, questa soluzione potrebbe rivelarsi vincente per il ritorno in tempi ragionevoli ad una qualche forma di normalità. Come era avvenuto all’inizio della campagna vaccinale, anche con l’imposizione della certificazione verde si è tornato a parlare di dittatura sanitaria, ma, a differenza della prima volta, le voci di chi si dice contrario non sono necessariamente univoche.

Nei giorni scorsi diverse piazze italiane, tra cui addirittura quella bergamasca, hanno fatto da palcoscenico per le manifestazioni dei no-green pass e non è azzardato ipotizzare che, almeno in questo caso, gli attori mobilitatisi siano gli stessi che a inizio anno vennero etichettati come no-vax. In fin dei conti non potrebbe essere diversamente: con il possesso di green pass come unico criterio che garantisce l’accesso ai luoghi della socialità, il Governo ha imposto, seppur implicitamente, l’obbligo di vaccinarsi. Tuttavia, ridurre la questione ad un semplice scontro tra fautori e detrattori dei vaccini rischierebbe di essere riduttivo.

Ad oggi tra i fortunati che possono confidare di contrarre il virus con gli stessi sintomi che qualche anno fa si attribuivano ad un semplice raffreddore o di non contrarlo affatto non c’è semplicemente chi ha scelto di vaccinarsi, ma più propriamente chi ha avuto il privilegio di poter scegliere. A migranti e stranieri senza tessera sanitaria l’accesso al vaccino non è garantito e se per averlo devono affidarsi alla burocrazia italiana non c’è da stupirsi se decidessero di rinunciarvi. Lo stesso vale per soggetti immunodepressi, persone transgender o con patologie che ad oggi sono risultate incompatibili con i vaccini disponibili. Per tutte queste categorie avere il green pass è pressoché impossibile e finché l’unica alternativa sarà fare tamponi a costi spropositati ogni due giorni per poter partecipare alla socialità bisognerà riconoscere che anche questa volta il rischio di vedere le disuguaglianze sociali aumentare è elevato.

Se è vero che la Costituzione italiana difende il diritto alla salute e di conseguenza anche il diritto a vaccinarsi, non si può prescindere dal fatto che per molti versi e in diverse occasioni godere del diritto alla salute è un privilegio. Aldilà delle questioni di geopolitica, che il vaccino non fosse esattamente un diritto di tutti lo si era visto fin dall’inizio della campagna vaccinale, quando, ad esempio, tra le categorie a cui fu data la precedenza figurò accanto a quella dei medici e degli operatori sanitari anche a quella di magistrati ed avvocati senza che nulla si decidesse invece sulle sorti di operai o altri strati non esattamente ai vertici della piramide sociale. Più in generale e con una retorica che rischia di suonare marxista, ma da cui non si può prescindere, si potrebbe dunque affermare che il vaccino risponde alla legge del più forte, in termini materiali ma non solo.