In politica serve competenza, non per forza accademica

Con il nuovo governo sono arrivati i nuovi volti, chi più e chi meno, della politica italiana e, come sembra ormai volere la tradizione di questa Italia arrabbiata e piena di odio, non sono mancati i giudizi e le pagelle per i nuovi ministri. A subire gli attacchi più beceri è stata la neo-ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, un passato da bracciante e sindacalista e un percorso scolastico fermo alla terza media. Dapprima sono arrivate le critiche all’abito blu elettrico che la Bellanova ha indossato nel giorno del giuramento al Quirinale, infine i commenti di chi ha scelto di condannare  la mancanza di un titolo di studio superiore, come la laurea, da parte della ministra. 

Da Laura Boldrini a Giorgia Meloni non sono tardati ad arrivare messaggi di solidarietà per il nuovo membro del governo, come è naturale che fosse, eppure questo improvviso bisogno di difendere chi di scuola ha frequentato solo quella della vita insospettisce ed in particolare modo a sinistra. Se c’è un qualcosa infatti di cui i partiti di sinistra hanno potuto vantarsi fin dagli inizi, quello era la cultura e l’elevato grado di istruzione dei propri esponenti che, con il tempo, si sono guadagnati così il titolo dispregiativo di professoroni. Per anni l’apparato culturale della sinistra ha rappresentato un tratto distintivo per i partiti che in questa ideologia si sono identificati segnando una netta distinzione con le forze di destra, tradizionalmente più avverse all’élite intellettuale. Con la nomina della Bellanova a ministro è evidente che il primato culturale della sinistra non può più essere considerato inattaccabile. 

Sia ben chiaro che, considerata l’esperienza politica e le competenze acquisite nei tanti anni di lavoro, questa volta è proprio il caso di dirlo, nei campi, la scelta di affidarle la guida del ministero dell’Agricoltura probabilmente non poteva essere più legittima. Quello che stona in questa vicenda non è certo la decisione di premiare la competenza anche in assenza di un titolo di studio adeguato, bensì il radicale cambiamento nell’atteggiamento di chi a lungo ha ritenuto la mancata istruzione un sinonimo dell’inadeguatezza a rivestire cariche nei principali organi politici. Che questa apertura rappresenti per la sinistra una volontà di lasciarsi alle spalle i comportamenti elitari che in passato gli hanno fatto perdere di vista i valori cardine della propria ideologia politica, c’è solo da augurarselo. 

Il messaggio che deve passare è molto semplice: per fare politica e farla bene servono le competenze, che queste si acquisiscano sui libri di scuola o attraverso esperienza diretta poco importa. L’errore commesso in passato dalla sinistra nel criticare l’operato di politici, come Di Maio, che non avevano concluso un percorso di studi è stato proprio quello di ricondurre scellerate decisioni istituzionali ad un’insufficiente cultura piuttosto che all’incompetenza dell’avversario di turno. Se aver avuto il privilegio di accedere ad un’istruzione di alto livello può certamente essere d’aiuto nel momento in cui si intraprende una carriera politica, è anche vero che ciò non costituisce una condizione necessaria per la partecipazione alla vita sociale e civile del Paese. In fin dei conti non ci sono certo mancati laureati che tessevano le glorie di tunnel per i neutrini e trafori nel Brennero.