In tempo di pandemia, riprendiamo in mano la Costituzione

L’ormai dichiarata pandemia prodotta dal Coronavirus sta ponendo le premesse per una recessione globale di proporzioni superiori a quella vissuta nel 2008. Solo in questa situazione globale si scopre quanto sia inutile dismettere produzioni nazionali per guadagnare un irrisorio centesimo a mascherina. Sì, perché non ci si può certo lamentare se gli altri Stati pensano prima al loro fabbisogno smontando in un amen l’utopico sogno europeo di cui tanti nostri concittadini si sono nutriti negli ultimi decenni. La realtà è molto più razionale di un sogno: l’emergenza è internazionale e ognuno deve muoversi autonomamente per rifornirsi. I politici e gli economisti in giro per il mondo non si sono certo nascosti, si parla già di economia di guerra e, di conseguenza, rivolta verso un’economia nazionale.

È l’occasione giusta per rispolverare la nostra amata Costituzione, entrando nel merito dei lavori dell’Assemblea Costituente in ambito economico. In questo modo si potrà avere davanti ai nostri occhi lo specchio di ciò che fu progettato e la degenerazione che nel tempo è andata sostituendo il modello costituzionale.

La relazione di Antonio Pesenti, eletto nell’Assemblea Costituente con il PCI è una perla rara dal titolo «L’impresa economica nella rilevanza costituzionale». Di seguito i suoi passaggi cardine che contribuirono a tracciare un modello condiviso nella terza sottocommissione dell’Assemblea dei 75: (Fonte: http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/relaz_proposte/III_Sottocommissione/24nc.pdf?fbclid=IwAR28tlPBdsaWbU9sXQdXX-JgQk0nCMLhRN5BfZPBLmJ-77ynjJUhbrJS6Os)

«Il principio del diritto al lavoro in una società in cui sia ammessa la libertà d’investimento dei mezzi di produzione diventa un obbligo generico, una indicazione in favore di una politica di piena occupazione e di spesa pubblica, cioè di intervento dello Stato nella vita economica, con varie forme tendenti, nel loro complesso, al raggiungimento di tale meta, per quanto essa sia possibile nel sistema capitalistico di produzione e ciò in netto contrasto con i criteri informatori della politica economica della società capitalistica di concorrenza che hanno ovunque prevalso in passato. Questo principio, qualora venga sancito nella Costituzione, oltre a costituire una precisa indicazione di politica economica e affermare una esigenza della coscienza popolare moderna, ha inoltre conseguenze giuridiche importanti».

Pesenti pare guidare una critica verso l’attuale Unione Europea quando parla di «netto contrasto con i criteri informatori della politica economica della società capitalistica di concorrenza». Se fosse oggi in vita probabilmente lo farebbe, perché i principi economici dell’Unione Europea, e dunque il principio di concorrenza, è il cardine restauratore di ciò che i nostri Costituenti respinsero e che si era già superato con la reazione alla crisi liberista del 1929.

E ancora: «L’altro principio fondamentale che pone un limite alla proprietà privata e dal quale deriva il fondamento dell’organizzazione sindacale della protezione e dell’assicurazione sociale, è dato dal fatto che la produzione non ha fine a se stessa, ma serve per assicurare una vita degna e possibile al popolo italiano: la produzione serve cioè per l’uomo e non l’uomo per la produzione. La base dell’intervento del lavoratore nella produzione sta proprio qua».

«La produzione serve per l’uomo e non l’uomo per la produzione». Qui c’è tutta la dimensione del lavoro inteso come diritto/dovere, a dispetto della dimensione liberista ed europeista del lavoratore merce, che subisce squallide leggi del mercato che non gli consentono una vita libera e dignitosa.

Sul controllo statale:«E’ la proprietà e l’impresa che per la sua dimensione o la sua posizione monopolistica assume un interesse rilevante nella vita economica nazionale, sicché rappresenta non più non più un interesse privato o di privati ma un interesse nazionale e come tale deve essere posto sotto il controllo della Nazione. Sono le imprese (e la proprietà di imprese) esercenti servizi pubblici (telegrafi, telefoni), o di pubblica utilità (acquedotti, ecc); sono le proprietà e le imprese riguardanti fonti essenziali di energia (miniere, petroli, elettricità) che in genere assumono anche forme monopolistiche, è la proprietà e l’impresa che per la sua dimensione, per la sua posizione di monopolio e per la sua connessione nella vita economica del Paese assume tale importanza da cambiare di qualità: divenire una forma di particolare di proprietà e d’impresa che non è ammissibile, rimanga forza potente in mano a privati cittadini».

Sulla base di questa relazione chiediamoci come sia stato solo possibile concepire le privatizzazioni per adeguarci al modello del Trattato di Maastricht, come sia possibile anche solo la concessione di un monopolio naturale come la rete autostradale in mano ai privati! Pesenti lo scrisse chiaramente, ma fu solo una delle voci che andarono convinte in quella direzione, tanto che si arrivò alla creazione dell’ENI, dell’ENEL, al rilancio dell’IRI.

Oggi, in vista di ciò che dovremo affrontare, nazionalizzare significa porre sotto tutela dello Stato risorse strategiche che, come scrisse Pesenti:«[…]per la sua dimensione o posizione monopolistica assume un interesse rilevante nella vita economica nazionale, sicché […] deve essere posto sotto il controllo della Nazione».