Un’inchiesta sullo jihadismo globale
Jihadismo globale
Andrea Plebani
Giunti — 2016 — 16 euro
È impossibile negarlo: da 15 anni lo jihad, la «guerra santa» islamica, è parte delle nostre vite. Con la nascita di al-Qa’ida e l’11 settembre il fondamentalismo islamico ha raggiunto un raggio d’azione che va dal Pakistan alla Mauritania ed è riuscito a sconvolgere i precari equilibri del mondo musulmano. Andrea Plebani, docente alla Cattolica di Milano, ci presenta un’analisi estremamente precisa e articolata di come il terrorismo islamico sia riuscito, dopo la morte di Osama Bin Laden, a ricostruire la propria struttura così da diventare protagonista nel grande disordine della geopolitica mondiale. Lo jihad è, spiega l’Autore, uno di quei casi in cui è più presente una «discrasia tra fenomeno e rappresentazione»: si ha uno scarto tutt’altro che irrisorio fra il fondamentalismo islamico com’è realmente e quello che ci viene presentato dai media. Già il binomio che unisce jihad e guerra santa è errato: il primo ha un significato molto più ampio e difficilmente riducibile a una sola perifrasi. Questa semplificazione grossolana secondo Plebani è deleteria: «A fare le spese di tale interpretazione non sono solo le popolazioni di fede non musulmana che vivono in Occidente, nelle quali si acuisce l’avversione verso un sistema religioso percepito come allogeno e spesso in contrasto con i sistemi valoriali autoctoni, ma anche gli stessi musulmani». Alla parte di questi che vive in Occidente si chiede di condannare lo jihad, che — inteso come «predicazione della parola di Dio» oppure come «lotta del singolo credente contro le cattive inclinazioni», e anche «aiuto ai bisognosi e alla comunità» — è uno dei principi su cui si fonda il proprio credo, e questo non può che far nascere un’ostilità nei confronti delle società in cui vivono, rendendo così molto più difficile ogni forma di integrazione. Spaventati come siamo dall’Isis e dal fondamentalismo islamico, la lettura di Jihadismo globale è davvero salvifica: Andrea Plebani non vuole assolutamente minimizzare il fenomeno, egli intende piuttosto fornirne una lettura ragionata e razionale perché a fare più paura è ciò che non si conosce o, peggio, ciò che si crede di conoscere.
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