La macchia nera della Terra di Mezzo
«La macchia nera è lo Stato» cantava Gaber vent’anni fa in una delle tante versioni della straordinaria Io se fossi Dio. Mai verso fu tanto attuale: dopo le infiltrazioni mafiose scoperte a Verona qualche settimana fa – e non contiamo l’Expo di Milano – ora è la volta di Roma. Nell’intrigo denominato efficacemente Mafia Capitale ci sono pezzi grossi della destra e della sinistra, indagato d’eccezione Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma. Grazie alle dichiarazioni di Massimo Carminati, ex terrorista nero del Nar (Nucleo Armato Rivoluzionario) legato alla banda della Magliana, è stata resa pubblica l’esistenza di una Terra di Mezzo nella capitale: un luogo in cui «tutto si mischia nel mezzo perché la persona che sta nel sovramondo (politici & imprenditori, ndr) ha interesse che qualcuno nel sottomondo gli faccia delle cose che non può fare nessuno». Quindi agli abitanti della Terra di Mezzo spetta il compito di collegare il sovramondo al sottomondo, in modo tale che il sovramondo non si esponga in prima persona in vicende tutt’altro che limpide.
In una città già abbastanza scossa dai problemi degli immigrati nelle periferie e dalle disavventure della Panda dell’attuale sindaco Marino, l’inchiesta Terra di Mezzo arriva come una pugnalata: la mafia c’è anche a Roma. La domanda sorge spontanea: serviva davvero tutto questo casino per rendersene conto? Evidentemente non erano sufficienti le minacce di morte e le intimidazioni al giornalista de L’Espresso Lirio Abbate, che da anni si sta occupando della questione.
Tornando alle riflessioni con cui abbiamo aperto l’editoriale, sembra sempre più attuale e sempre più vero il vecchio sillogismo che recitava «dove ci sono i soldi c’è la mafia»: è un’inaudita sciocchezza affermare che la criminalità organizzata esiste solo al Sud: ci sono anche qui, certo con meno frequenza, pizzi da pagare, favori da restituire e regole a cui sottostare. Non ci saranno le stesse famiglie (forse), ma il sistema è uguale. E cos’è questa se non mafia?
Non possiamo pretendere che un meccanismo che continua a funzionare perfettamente decida di sua spontanea volontà di fermarsi o di limitarsi ad alcuni territori: bisogna iniziare a mettergli dei paletti sempre più stretti per poi sconfiggerlo. Pare surreale che la mafia abbia all’attivo ogni anno quasi il 10% del Pil nostrano, ma se non si comincia a combattere contro questa «macchia nera», la lotta si farà sempre più impari. Ma quando le istituzioni decideranno di muoversi seriamente sarà forse troppo tardi.
Tito G. Borsa
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia
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