Caro Bruno Vio, tante parole ma poca sostanza
Carissimo Bruno Vio,
faccio una piccola premessa per i tanti che si chiederanno, leggendo queste righe, «Bruno Vio chi?»: lei è, mi corregga se sbaglio, un giornalista (pubblicista suppongo) arruolato nell’esercito. Le scrivo per rispondere alle accuse che lei ha formulato giovedì sera nei miei confronti su Facebook. Se non le dispiace preferirei procedere per punti. Mi scuso con i lettori se ripeterò qualche concetto già spiegato nell’articolo uscito venerdì (Non sparate sui blogger), mi auguro che sopporterete.
1. «Perché non ci spiega con chiarezza chi è lei?». È presto detto: studio Filosofia all’Università di Padova, collaboro più o meno saltuariamente con il Corriere del Veneto (dorso regionale del Corriere della Sera) e con il mensile Il Borghese in attesa di diventare pubblicista. Ho aperto questo blog poco più di un anno fa per commentare i fatti politici del giorno, piano piano siamo diventati un buon numero di autori ed eccoci qui.
2. «Gestisce un sito che chiama blog». Sinceramente non saprei come altro chiamarlo: WordPress, la piattaforma che utilizziamo, produce dei blog. Se vuole chiamare questo sito «Luigi» o «Antonio», me lo dica che ci adeguiamo.
3. «Risulta che Lei, caro Tito Borsa non è iscritto all’Ordine dei giornalisti, tuttavia, ripeto, si fa chiamare Direttore, scrive editoriali e poi, piccolo piccolo, in modo piuttosto ambiguo dichiara che il suo blog non è una testata perché manca di periodicità e che quindi lei non è un vero Direttore». Vede, caro Bruno Vio, se posso farglielo sommessamente notare, chi è a capo di un giornale si chiama «Direttore Responsabile» (carica che mai mi sono conferito) e, glielo dico ancor più sommessamente, io non ho mai dichiarato di non essere un vero Direttore. La dicitura a cui lei si riferisce (che poi è alquanto chiara e mica tanto piccola) dice invece quanto segue: «La Voce che Stecca NON è una testata giornalistica, pertanto il ruolo di “Direttore” nulla ha a che fare con il ruolo di “Direttore Responsabile” di una testata giornalistica regolarmente registrata, lo stesso vale per il ruolo di “videdirettore”». Qua non si parla di direttori veri o falsi, quanto di mansioni differenti: io dirigo un blog, ergo non sono il direttore responsabile di un giornale. Sono due ruoli abbastanza diversi, forse lei non sa in cosa consistono ed è quindi tratto in inganno. Si informi. Ripeto quanto scritto nell’articolo di venerdì: gli editoriali li possono scrivere solo i giornalisti sui giornali? O l’«editoriale» è un genere di articolo la cui denominazione non dipende dal luogo in cui viene pubblicato e dal suo autore?
4. «Allora da domani posso anche chiamarla Fruttivendolo, è uguale». Lei mi può chiamare come vuole, però non posseggo un’attività nel settore ortofrutticolo, quindi non ci farebbe un’ottima figura. Se cerca una carica da conferirmi, «supercapo intergalattico» o, più semplicemente, «eccellenza» suonano bene.
5. «Tutto questo è piuttosto comunque discutibile visto la frequenza con cui è sempre pronto a mostrarsi al mondo come il nuovo Feltri. Non voglio neanche entrare nel merito dei contenuti e della violazione delle norme deontologiche ed etiche. Da giornalista, quindi, vorrei suggerirle di dare una lettura veloce al passo sottostante che, ovviamente, non essendo iscritto all’OdG, sconoscerà. La legge n.62 del 7 marzo 2001 ha esteso la nozione di prodotto editoriale anche al mondo digitale». Evito di commentare il paragone con Feltri: alcuni mesi fa ho appoggiato la sua candidatura al Quirinale però non è uno dei giornalisti che prendo a esempio. Mi stupisce la certezza con cui si dichiara convinto della mia ignoranza in materia, in quanto non iscritto all’Odg. La avviso cordialmente che «sconoscere» non significa «non conoscere» ma «rifiutare di conoscere» (vedasi Devoto-Oli). Nulla da dire sulla legge, il problema è che si parla di «pubblicazione di tipo professionale» e La Voce, in quanto dilettantesca e no profit, non può certo dirsi tale. Allego però l’articolo 3 bis del Decreto-Legge n.63 del 18 maggio 2012 (che, per la cronaca, è posteriore al 7 marzo 2001), poi diventato legge n.103 del 16 luglio 2012: «Le testate periodiche realizzate unicamente su supporto informatico e diffuse unicamente per via telematica ovvero on line, i cui editori non abbiano fatto domanda di provvidenze, contributi o agevolazioni pubbliche e che conseguano ricavi annui da attività editoriale non superiori a 100.000 euro, non sono soggette agli obblighi stabiliti dall’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, dall’articolo 1 della legge 5 agosto 1981, n. 416, e successive modificazioni, e dall’articolo 16 della legge 7 marzo 2001, n. 62, e ad esse non si applicano le disposizioni di cui alla delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n.666/08/CONS del 26 novembre 2008, e successive modificazioni». Guarda caso si tratta delle leggi che ha citato lei. Se ha difficoltà mi avvisi che glielo spiego.
6. «Concludo sottolineando che lei e il suo blog, avete anche pubblicato una ricca recensione di un mio libro, dichiarando anche di avermi intervistato. Bene! Mi spieghi quando sarebbe successo perché io non avrei mai concesso a lei e alla sua paginetta autocelebrativa un’intervista». Come le ho fatto già notare (e può andare a consultare il nostro archivio) noi non abbiamo mai affermato di averla intervistata, ma abbiamo citato alcune sue parole presenti nell’introduzione.
7. «Tanto lui (Tito Borsa, ndr) non è giornalista. Millanta solo di essere Direttore di testata #titotornaascuola». Intanto visto il punto 5 di questa lettera, forse sarebbe lei (che pure è giornalista) a dover fare un piccolo ripasso di legge. Poi io non ho mai «millantato» di essere il Direttore di una testata, ma molto più modestamente di un blog. Sa per caso cosa può accadere a affermare cose palesemente false?
Senza alcun rancore la saluto con un caloroso abbraccio da parte mia e di tutta la mia «paginetta autocelebrativa» e con un consiglio: forse è meglio che lei torni a raccontare cosa succede in Afghanistan: le riesce meglio.
Giornalista professionista e fotografo. Ho pubblicato vari libri tra storia, inchiesta giornalistica e fotografia
E così Tito Borsa si fa rispettare! Vio (e chi è?) zittito!
Vio:Mi sa tanto dello squallido “Lei non sa chi sono io”…. Deprimente e sterile.
Solo perché è un “giornalista” si sente in diritto di guardare tutti gli altri dall’alto in basso. Ognuno è libero di fare quello che vuole ma accusare gli altri di compiere dei reati è inconcepibile.
Non voglio entrare nella polemica giornilista sì- giornalista no, iscrizioni all’ordine o che so io, vorrei però far notare che non tutto quello che riporta il buon Tito è esatto: in più occasioni voi de La voce vi siete definiti un “giornale on line”, una testata e non solo un semplice blog di libera informazione… la cosa è quantomeno ambigua, mi sembra innegabile. E apprezzo le donchisciottesche elucubrazioni sui termini come “direttore” o “articolo”, sta di fatto che tutto il blog è strutturato come fosse un giornale: lettere al direttore, la redazione, l’editoriale sono tutte cose che rimandano all’ambiente del giornalismo stretto… Senza contare che in alcuni articoli definite “collega” dei veri e propri giornalisti… Ora non ci trovo nulla di male se un gruppo di ragazzi gioca a fare il giornalista, si diverte e lo fa con passione… però non piccatevi se qualcuno ve lo fa notare: se invece di chiamarti direttore ti facessi chiamare solo Tito (lettere a Tito non suona così male) sarebbe tanto di guadagnato.
Un buon in bocca al lupo!
A parte il fatto che non mi risulta di aver mai chiamato questo blog un «giornale online». Se vuole mandarmi il link all’articolo gliene sarei grato. Idem per «testata» e «collega».
A parte il fatto che noi non stiamo «giocando a fare il giornalista» ma stiamo portando avanti un progetto molto ambizioso che, come ho già spiegato più volte, non ha la pretesa di essere giornalismo (ossia, informazione) quanto «opinione» e «discussione».
A parte il fatto che abbiamo il diritto di essere piccati quanto ci pare quando riceviamo commenti di questo tenore perché nascondono l’accusa di un reato, anzi di due (stampa clandestina ed esercizio abusivo della professione).
A parte tutto questo, se legge con attenzione la legge che ho citato nella mia risposta (n.103, 16 luglio 2012) capirà che ogni discussione su testata sì testata no, direttore sì direttore no, è superflua: le testate esclusivamente online che non vogliono usufruire di finanziamenti e che hanno un fatturato minore a 100.000 euro (il nostro è pari a zero e ne siamo fieri), non richiedono né di registrazione al tribunale né di un direttore responsabile (e di conseguenza iscritto all’Odg).
Noi non facciamo informazione, ripeto, e quindi sarebbe assurdo definirci una testata giornalistica. Io, personalmente, (ma sono l’unico) faccio informazione altrove, attendendo di divenire pubblicista. Ma questo esula dalla sua obiezione.
Noi lavoriamo duramente, seriamente e mettendoci impegno e passione nel fare i BLOGGER, non i giornalisti. Tutto il resto è noia.
Aggiungo che di «Direttori» ne esistono anche al di fuori di un giornale, e anche un blog può avere una redazione e su di esso si possono scrivere editoriali. Io dirigo questo blog, non dirigo certo un giornale. E non sono neppure un «Direttore responsabile».
Caro Tito ti manderò il link di qualche articolo.
Detto ciò la mia nota non aveva nulla di accusatorio: non penso che voi facciate giornalismo, dico però che noto (impossibile non notarlo) quanto vi piaccia “atteggiarvi” da giornalisti: dopodiché sono il primo a dire che non vi affermate tali. Basta saper leggere, è scritto anche a piè di pagina. Oltretutto mi piace la passione che ci mettete. Però gli articoli “incriminati” esistono. Io te li mando, così eventualmente puoi correggerli o che so io. Tante care cose
Un esempio è questo
https://lavocechestecca.com/index.php/2015/04/17/per-scr/
Nelle prime righe sì parla di giornale on line
Ripeto: non voglio accusare nessuno. Credo che un blog sia una bella esperienza, soprattutto se c’è l’entusiasmo che ci mettete voi
Si parlava di articoli miei o sbaglio? Nel senso che qua ognuno è libero di dire quello che vuole (pure i collaboratori), quindi se si accusa me bisogna anche trovare gli articoli miei
caro mio, come hai scritto tu essendo il direttore ti carichi “degli oneri o onori”… hai ripetuto più volte che gli articoli li correggi prima di postarli… non giriamo troppo la frittata dai, carta canta. Nel “sottotitolo” è firmato la voce che stecca, tu non fai parte de la voce che stecca forse?
Inoltre non ho parlato, nel primo commento, di tuoi articoli, ma di vostri articoli: ho scritto “vi siete definiti”. No, non è pluralia maiestatis, mi spiace per te, “direttore”
Caro Riccardo,
la sua obiezione mostra come lei non abbia letto attentamente l’articolo. Le «donchisciottesche elucubrazioni» di cui parla sono argomento centrale del discorso perché Tito Borsa è stato accusato di spacciarsi per giornalista.