Silvana De Mari: tra libri e antivegetarianesimo
Cara Silvana,
ho sempre creduto di stimarti, pur non conoscendo quasi nulla di te e non avendo letto nessuno dei tuoi libri. Questa stima era nata una decina di anni fa, io ero una ragazzina e tu sei stata invitata al mio liceo. Lo ricordo come uno degli incontri con gli autori più interessanti: non hai parlato di te e dei tuoi libri, ma ci hai fatto riflettere, hai posto delle questioni che per me erano nuove e mi hanno affascinato moltissimo. Il tuo nome era legato a questo bel ricordo. Per questo sono rimasta molto stupita quando ho letto su Facebook un tuo post contro i vegetariani, che mi è sembrato talmente delirante da non meritare risposta. Ma vista la quantità di persone che si sono dette d’accordo con te, mi sento in dovere di dire la mia.
La tua prima argomentazione è questa: «Gesù Cristo non era vegetariano». Ora, al di là del fatto che ci sono passi della Bibbia in cui si condanna il cibarsi di animali – non approfondisco la questione non essendo ferrata sull’argomento, in ogni caso non è questo il punto –, converrai che non è granché come argomentazione. Prosegui in questo modo: «Chiunque affermi che essere vegetariani sia meglio che essere normali, si sta dichiarando migliore dei suoi antenati, cacciatori raccoglitori, della nonna che faceva l’arrosto per Natale, del Cristianesimo, si sta dichiarando migliore di Gesù Cristo». A parte il riferimento alla povera nonna e all’ancora più povero Gesù Cristo, che senso avrebbe dire che i vegetariani si sentono migliori dei loro antenati? Se non c’è possibilità di scegliere non esiste nemmeno l’etica, quindi non si possono emettere giudizi o fare confronti di tipo morale. E poi, c’è sempre questa storia che i vegetariani si sentono migliori degli altri. Intanto, non ho mai sentito nessun vegetariano dire a qualcun altro di essere migliore; al contrario, l’ho sempre sentito dagli onnivori, dai normali, come li chiami tu. E questo fa pensare: è come se vi sentiste in qualche modo attaccati, criticati, e vi voleste difendere accusandoci di sentirci superiori. Per la verità, un po’ migliore degli onnivori io mi sento, quanto ad alimentazione. Se credo che qualcosa, come cibarsi di animali, sia eticamente riprovevole, è ovvio che giudicherò migliore la scelta di astenersi da questa cosa. Ad esempio, se penso che sia sbagliato rubare, giudicherò una persona onesta migliore – sotto questo aspetto – rispetto a un ladro. Questo in ogni caso non significa sentirsi o giudicare qualcun altro una persona migliore.
Parli poi di «diete criminali». Su questo ti dico solo una cosa: informati meglio.
Il tuo prossimo argomento comincia così: «Sono nata negli anni 50 [e noi a quel tempo…]». Dato che sei nata in quegli anni saprai sicuramente che si facevano cose che oggi sono giudicate sbagliate, ad esempio non si poteva divorziare. Ancora prima, le donne non potevano votare, esisteva la schiavitù. Credere che il passato fosse sempre e comunque migliore del presente non significa valorizzarlo e rispettarlo; anzi, a mio parere rispettiamo la storia e gli antenati quando impariamo dai loro errori, non quando li ripetiamo. Ma andiamo avanti: cosa facevate voi negli anni 50? Mangiavate l’orso perché vi mangiava le pecore, mangiavate la volpe perché vi mangiava le galline. Se vuoi dire che si uccidevano – e quindi mangiavano – animali per difendersi, potrei anche essere d’accordo in qualche caso, ma la questione non è più valida oggi. Se vuoi invece dire – come credo – che anche la volpe e l’orso uccidono per cibarsi, e che quindi possiamo farlo anche noi, è un argomento decisamente ridicolo, dato che: innanzitutto, l’animale non ha scelta, mentre noi sì; l’animale non ha la coscienza per fare una scelta etica, noi sì; se proprio vogliamo seguire l’esempio degli animali, perché non torniamo a vivere allo stato di natura, senza case, vestiti, uccidendoci a vicenda e cacciando gli animali a mani nude?
«L’irrazionalismo di considerare gli erbivori migliori, eticamente superiori rispetto a chi mangia carne nasce dai film di cartoni animati con umanizzazione di animali e da una precisa corrente di anti umanesimo, di odio per l’uomo visto come una bestia infestante per il pianeta. […] Non è amore per gli animali, è odio per l’uomo». Parliamo dei cartoni animati. Da sempre si umanizzano gli animali, da prima che inventassero la televisione, eppure non mi risulta che la gente abbia smesso di mangiarli per questo. Gli animali dei cartoni animati non sono animali, sono persone dall’aspetto strano, nessuno li percepisce come animali veri e propri, e se qualcuno prova compassione per la loro sorte, come nel caso di Bambi ad esempio, stai certa che se ne dimentica in fretta, appena arriva l’ora di cena. Sarà un esempio un po’ idiota, ma i miei nipotini adorano Peppa Pig, sanno che è un maiale, eppure mangiano salsicce e costicine come se non ci fosse un domani, che pure sanno provenire da un maiale, e continuano a ritenere il maiale un animale sporco e ridicolo.
Il fatto che tu creda che l’animalismo comporti necessariamente l’odio per l’uomo denota che o non hai capito, o hai avuto a che fare solo con animalisti fuori di testa, ché ce ne sono, come ce ne sono tra i «normali». Gli animalisti non collocano gli animali al di sopra dell’uomo, ma semplicemente al suo stesso livello: si chiama antispecismo. Spesso, poi, è proprio tra chi ama gli animali che si trovano le persone che si battono anche per i diritti dell’uomo. Che poi l’uomo sia una «bestia infestante per il pianeta», è difficile negarlo, e lo riconoscono un po’ tutti, non solo i vegetariani, ma nessuno vuole seriamente eliminare l’uomo dalla faccia della terra.
Scrivi poi: «La morte fa parte della vita, chi odia la vita è talmente terrorizzato dalla morte che anche schiacciare una zanzara sembra troppo». Certo, la morte fa parte della vita, però non per questo dobbiamo anticiparla, ti pare? E sembra che tu stia accusando i vegetariani di odiare la vita. Non mi pare abbia molto senso dire che qualcuno che cerca di vivere nuocendo meno possibile odi la vita… Mi sembra palese il contrario, invece.
Lasciamo perdere poi il passo in cui dici che gli erbivori non si relazionano, mentre gli onnivori come cani e gatti sì, perché «la capacità di relazione si basa sulla predazione». Ma per favore… Cosa vorresti dire, che i vegetariani non si relazionano tra loro? Ah, infatti si riconoscono perfettamente in mezzo alla gente: son quelli che non parlano con nessuno. Io ho avuto ottime relazioni anche con conigli e porcellini d’india, che, ops, sono erbivori, come la mettiamo?
«Avete pianto più lacrime per il gorilla piuttosto che per 11500 cristiani massacrati in Nigeria negli ultimi due decenni, il leone Cecil vi ha commosso più dei bambini dello Zimbabwe, due o tre l’anno, che muoiono sbranati dai leoni?» No, per niente. Invece molti «normali» risponderebbero di sì. Quando un animale muore in uno zoo, la mia bacheca su Facebook è letteralmente ricoperta di commenti e pianti e faccine tristi. E ti assicuro che non sono post di vegetariani, la maggior parte sono persone che mezz’ora dopo mettono la foto della grigliata.
Ti lanci poi in un’osservazione acuta: «Anche i batteri sono creature viventi». Allora non hai capito. Anche le piante lo sono. Ma i viventi si dividono in cinque regni, lo si studia alle elementari, e i vegetariani non mangiano gli animali, quelli che possono provare piacere e dolore come noi, di cui i batteri non fanno parte.
Affermi che un vegetariano nega la propria umanità e tutti i suoi aspetti, comprese la violenza e la ferocia, ma «un istinto negato diventa patologia». Per prima cosa, non mi risulta che andando al supermercato a comprare un pollo si soddisfi l’istinto alla violenza. Inoltre, vorrei vederti giustificare in questo modo un omicidio o uno stupro. Dici tu stessa che gli allevamenti intensivi sono sbagliati, ma come? Gli allevatori non dovrebbero essere liberi di sfogarsi sugli animali e di torturarli? Penso tu sappia che è proprio la repressione dei nostri istinti più brutali ciò che ci permette di vivere pacificamente in città e nazioni, le regole che stabiliscono che nessun uomo può sfogare i propri istinti violenti su un altro uomo sono il fondamento della nostra civiltà. Negarli sarà anche patologico, non lo so e se è vero siamo tutti malati da secoli, ma certamente è vitale.
Parli poi di quanto uccidere e mangiare siano gesti sacri. Ci inviti a ringraziare e pregare per l’animale che è stato ucciso perché potessimo cibarcene, a riconoscere il dolore e la morte dell’animale, che non possono essere sprecati. Non sarebbe un tantino più semplice evitare la morte e mangiare senza uccidere nessuno? Non so cosa tu intenda esattamente quando affermi che alcune cose sono sacre; so solo che non è nulla di concreto, e che anche il gesto più estremo potrebbe essere giustificato, se visto come sacro. Però per me mangiare è un gesto che merita rispetto e attenzione, che non va fatto in fretta o con superficialità, perché mangiare significa rigenerare il nostro corpo, e non mi piace pensare di nutrirlo con la morte. Massimo rispetto per chi la pensa diversamente, ma non posso tollerare chi mi lancia accuse ridicole.
Un commento su “Silvana De Mari: tra libri e antivegetarianesimo”