La nuova rubrica: Epitaffi per vivi e vegeti
Siamo tornati al boom economico. Va bene, la crisi non l’abbiamo ancora superata però l’ottimismo, il positivismo nella politica è esattamente quello: pensiamo davvero che la panacea si sia incarnata in qualche membro della classe dirigente. Non importa se queste parole corrispondono alla verità o si riveleranno essere solo pallide illusioni, questo è il comune sentire e ne prendiamo atto.
Questa oracolare premessa per presentare una nuova rubrica che troverà aperiodicamente spazio su queste pagine: gli epitaffi. Brevi, sarcastici, pungenti descrizioni che, ci immaginiamo, potranno apparire sulla tomba dei personaggi a cui si riferiscono. Ovviamente — è banale ma ormai bisogna spiegare tutto — dedicare un epitaffio a Tizio non significa augurarsi che Tizio ci lasci quanto prima. Ma se, come nell’Antologia di Spoon River, i morti non hanno più motivo di mentire perché non hanno nulla da perdere, se spettasse a noi fare un ritratto del «defunto» (tanto breve da stare in una lapide) non ci porremmo certo il problema di una querela, saremmo giusti e onesti, animati dalla giustizia e dall’onestà che si deve a chi ora probabilmente sta meglio di prima. Siamo dei cinici e degli insensibili? Forse, ma non siamo certo i primi: uno fra tutti, Indro Montanelli scrisse epitaffi per gran parte della sua vita (raccolti in Ricordi sott’odio, a cura di Marcello Staglieno, Rizzoli) e, pur non volendo paragonarci al Direttore, ci piace pensare di avere alle spalle un così importante predecessore.
Ci perdonino i bersagli degli epitaffi: non sappiamo quel che facciamo, e anche se lo sapessimo, probabilmente faremmo esattamente lo stesso.
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