Inginocchiarsi o non inginocchiarsi? Una dicotomia falsa
Inginocchiarsi, o non inginocchiarsi, questo è il dilemma. Tra i vari argomenti presenti all’interno dell’agenda setting, la spaccatura della nazionale italiana sull’adesione al rituale in supporto del Black Lives Matter si è ritagliata una fetta del dibattito pubblico. Ciò che più interessa – in questo pezzo – è il trattamento comunicativo dicotomico che alcuni media stanno cercando di impostare sulla vicenda: approvazione per i cinque titolari schierati da Mancini per Italia-Galles che hanno optato per l’adesione, disapprovazione per i restanti sei componenti.
Si tratta di una mera operazione di semplificazione comunicativa, impostata ben prima della partita di domenica. Si possono trovare tracce del dibattito nel contenitore serale del servizio pubblico RAI, «Notti Europee», dove s’invitava la nazionale italiana all’adesione già nei primi match del girone eliminatorio. La questione è definitivamente venuta a galla quando ci si è andati a confrontare con una nazionale, il Galles, che aderisce in blocco all’iniziativa. Ora, la FIGC ha il compito di promuovere azioni che sensibilizzino sulla problematica sociale e culturale del razzismo già a partire dai primi passi, come strumento di formazione ed educazione che lo sport in generale deve necessariamente rappresentare in prima istanza. Lo deve fare, a maggior ragione, muovendosi singolarmente nelle principali competizioni nazionali – Campionati, Coppa Italia, Supercoppa italiana – e coralmente – via FIFA e UEFA – a livello internazionale.
Questo insieme di passi, però, non vanno minimamente a incrociarsi con l’adesione a movimenti socio-politici, che sono propri della sensibilità e delle idee di ciascun individuo, atleti compresi. Non ci risulta che una premessa per la convocazione in nazionale sia l’adesione al Black Lives Matter, dunque ne consegue che non si possano imporre comportamenti di questo tipo agli atleti rappresentanti. Al contrario, coloro che rappresentano il popolo italiano in una manifestazione sportiva come l’Europeo di calcio, hanno l’obbligo morale di farlo degnamente e offrendo il massimo rispetto per gli avversari, nessuno escluso.
Non si può confondere l’universalità del principio di rispetto (slogan UEFA ben presente nelle magliette di tutte le nazionali di Euro 2020), con l’adesione a quello che è diventato a tutti gli effetti un movimento sociale americano dai forti risvolti politici, originatosi dai molteplici episodi tra la popolazione USA di etnia nera e la polizia. Il primo sportivo ad appoggiare la rivolta fu un giocatore della NFL, seguito a ruota dai cestisti presenti nella bolla di Orlando, in occasione dei Play-Off 2020 della NBA. Le superstar della NBA presero una netta posizione nel pieno delle presidenziali statunitensi: in quell’occasione si sfiorò il boicottaggio, poi scongiurato dall’intervento in prima persona di Obama, che riportò LeBron James e soci sul campo. Questo passaggio, che contribuì ulteriormente a mettere il cappello Dem al movimento, non può essere messo in secondo piano nel trattamento comunicativo della questione.
Per chi scrive, l’adesione a una causa socio-politica può essere mostrata, dato il principio democratico, anche indossando la maglietta di una nazionale, a patto che non si mettano in campo illazioni su presunte divisioni tra pseudo buoni e pseudo cattivi: tale distinzione appare strumentale e ridicola. In campo, con la maglia azzurra, ci vada il rispetto: per chi si rappresenta e per gli avversari. Tutti, nessuno escluso.
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.