Io, immigrato, non potrò mai perdere la mia identità
Quando si parla di stranieri in Italia si pensa sempre agli immigrati clandestini e ai comizi di Salvini, mentre c’è una realtà più sommersa che viene presa meno in considerazione. Proviamo a parlarne con un ragazzo filippino, che per comodità chiamiamo Lucas, che proverà a spiegarci qual è la situazione dei giovani stranieri in Italia.
Quando sei arrivato in Italia?
Allora, io sono qui in Italia da quando avevo 6 anni. Ho fatto qui tutto il mio percorso scolastico, a partire dall’ultimo anno della scuola dell’infanzia fino ad ora: frequento il liceo classico a Cittadella (Padova).
Quali somiglianze e differenze hai notato tra i due paesi?
È una domanda molto curiosa, perché credo che ci siano più punti in comune tra le Filippine e l’Italia di quanto crediamo, più che differenze: c’è una cultura abbastanza simile da molti punti di vista, perché entrambe sono molto influenzate dalla presenza della religione cattolica e un grande attaccamento, diciamo, alla fede. Poi un grande senso di appartenenza alla famiglia, si valorizza molto il nucleo familiare e l’istituzione in quanto tale. Forse è stata questa somiglianza che mi ha aiutato a integrarmi di più, perché sono dei grandi valori. La più grande differenza per me, che sono un ragazzo giovane, credo sia nel modo di vedere la vita! Credo che, soprattutto tra i giovani italiani, ci sia sempre di più questa voglia di rompere gli schemi, di esplorare, sperimentare, ascoltarsi e agire di conseguenza, mentre nelle Filippine possiamo dire che la mentalità è molto più conservatrice, si è molto limitati nel cercare di fare quello che sembra giusto, o almeno di fare quello che la cultura ci insegna come giusto. Questa è la differenza più macroscopica che ho notato.
Quali possono essere i pro e i contro del vivere in Italia?
Allora, partendo dal fatto che io amo questo paese come se fosse il mio perché lo sento mio, sono venuto qui come ho già detto all’età di 6 anni e sono cresciuto qui, ho stabilito qui i miei rapporti, ho scoperto le mie passioni, i miei sogni e in questo paese io fondo le mie speranze di vita, quindi in realtà io mi sento cittadino di due paesi diversi. Amo l’Italia. Credo che, a livello concreto, i vantaggi dello stare qui siano pubblica sanità e pubblica istruzione, cose che molti danno per scontato, ma non è esattamente così. Nel mio paese natio soltanto le classi sociali più abbienti possono permettersi di curarsi e possono permettersi di studiare: molte persone malate che devono essere curate e molte persone che hanno voglia di studiare e di imparare non possono farlo perché non hanno i mezzi, mentre è una grande fortuna, qui, avere la possibilità di usufruire dei servizi che lo Stato ci garantisce. Il secondo pro che garantisce il vivere in Italia è stare a contatto con i luoghi dove la cultura è nata. Io ho scelto un indirizzo liceale classico, il teatro è una delle mie più grandi passioni e per me stare in Italia è un privilegio, perché posso toccare con mano i luoghi dove la grande arte, la letteratura e la cultura sono nate, quindi per me è una specie di paradiso culturale. Il contro del vivere in Italia è dover sopportare il giudizio, spesso infondato, della gente, perché sono un immigrato, ho un colore di pelle diverso. È un comportamento che condanno ma che riesco a capire: una persona sconosciuta che entra nella tua vita solitamente non è mai cosa gradita; almeno inizialmente è una reazione umana.
Sei mai stato vittima di episodi di emarginazione o razzismo?
Sì, sono stato vittima di episodi di questo tipo. Credo che siano episodi con cui tutti gli immigrati devono fare i conti, perché effettivamente è vero: siamo stranieri, viviamo in un paese che non è il nostro e anche se condanno questi tipi di comportamenti. Noi immigrati siamo ben coscienti di questo: che dobbiamo sopportare questi episodi, accadono. Credo che l’episodio che mi ha più colpito sia stato in prima media, quando venivo preso in giro e spesso offeso perché sono straniero. Non è stato bello, ti fa sentire diverso, ma in modo negativo, perché la diversità, col passare degli anni, ho scoperto essere qualcosa di bellissimo. Però ti senti sbagliato, solo, perché sei quello che è diverso, appunto, rispetto agli altri. Poi c’è stato anche un episodio simpatico in cui, facendo dei servizi per il comune durante una giornata delle festività natalizie, dovevo chiedere ai bambini se volessero partecipare alle attività. Peccato che una bambina mi rispose di no, «perché sei cinese», poi tra l’altro sono filippino. In quel frangente mi sono stupito, perché vedere che persino ai bambini è stata inculcata questo schema fisso del pregiudizio su chi è diverso, mi ha fatto capire che forse dovremmo cambiare rotta, essere più aperti, perché è uno specchio del futuro. Saremo sempre più multietnici.
Pensi sia giusto mantenere completamente la propria identità culturale, abbracciare solamente quella acquisita o entrambe?
Questa domanda è difficile e mi colpisce. Abbracciare completamente, no, in nessuno dei due casi. Perché il mio essere filippino è parte di me, non una parte staccata, mi caratterizza e mi rende quello che sono tanto quanto il fatto che io, filippino, sono venuto qui. Bisogna prendere le influenze migliori, ed è quello che anche i miei genitori cercano di insegnarmi, nonostante loro siano molto più legati alla cultura di nascita di quanto non lo sia io, molto spesso mi sembra di parlare due lingue differenti, non comprendiamo completamente la controparte, le esperienze culturali diverse che abbiamo vissuto, e per questo litighiamo. È un conflitto difficile da risolvere. Indubbiamente non si può respingere la cultura con cui sei a contatto ora, perché le influenze si sentono, però non posso neppure rinnegare le mie origini, perché tradirei quello che sono.
Quale consiglio daresti ai giovani immigrati in Italia?
Quello che sto per dire è forte, ma io ci credo molto: bisogna smettere di fare le vittime. A volte si scambia per razzismo quello che non è, a volte si da per scontata l’accoglienza degli immigrati nel migliore dei modi. Dovrebbe essere così e sarebbe bello se lo fosse, ma non è la realtà. Credo che dovremmo renderci conto che gli episodi di discriminazione accadranno, e anche se il nostro compito è di non accettarli, non possiamo neppure aspettarci che tutto ci sia dovuto. Ai giovani immigrati come me, io vorrei dire: siate aperti anche voi, così come vorreste che gli atri lo fossero con voi. Dobbiamo dare la possibilità agli altri di farci conoscere, non possiamo sempre e solo lamentarci di pregiudizi e discriminazioni se noi per primi non ci rendiamo disponibili e non ci apriamo per farci conoscere.
Emanuela, 19
Studentessa, attrice, ama l’arte in tutte le sue forme. Filantropa e amante dei gatti, sogna di fare dell’arte della scrittura la sua professione.