Israele ignora la proprietà dei terreni in Cisgiordania
Il 6 febbraio scorso, con 60 voti favorevoli e 52 contrari, il Knesset (il parlamento israeliano) ha approvato la cosiddetta «Legge di regolarizzazione». Il testo oltrepassa un limite che Israele non aveva mai osato valicare: legalizza 3.800 alloggi israeliani insediati in territorio palestinese in Cisgiordania. Con questa legge gli israeliani residenti avranno un diritto di proprietà sulle case, pur non essendo proprietari del terreno su cui sono costruite. Il diritto di proprietà palestinese in questo modo non è espropriato, perché viene direttamente ignorato.
Tra i vari commenti della politica internazionale, quello del ministro degli Esteri francese Jean Marc Ayrault è stato forse il più duro, affermando il dovere di Israele di «ritirare la legge onorando i propri impegni». Per impegni il ministro intende la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 2334 (23 dicembre 2016), che impone a Israele la fine degli insediamenti in territorio palestinese. Le alternative per i cacciati sono due: un pagamento annuale per i prossimi 20 anni pari al 125% del valore del terreno, o un’altra casa. Certo chiamare alternativa una costrizione non ne cambia la sostanza.
La legge è stata approvata con la convergenza dei voti del partito Likud (di Benjamin Netanyahu, capo del governo) e del partito della destra nazionalista religiosa «La casa ebraica», al governo con il primo. Questo particolare diventa rilevante nel momento in cui le critiche mosse alla legge in questione non vengono soltanto dall’Autorità Palestinese (Anp) e dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), che l’hanno definita un furto legalizzato. Infatti, un ministro dello stesso Likud ha definito la legge «evil and dangerous», cattiva e pericolosa.
In effetti questo atto viola anche gli accordi di Oslo (1993), che pur non essendo vincolanti restano comunque un precedente fondamentale per i rapporti tra Palestina e Israele. Questi infatti avevano l’obiettivo di normalizzare i rapporti tra i due Stati, ma nel rispetto dei diritti umanitari.
Israele in questo momento della storia deve decidere in che direzione andare. In ogni caso, è sempre in tempo per fare retromarcia, visto che, ricordiamolo, sta violando i suoi stessi obblighi internazionali.