Italia continua a sforare limiti polveri sottili: la politica si attivi

In questi giorni è tornata nei titoli dei giornali una questione spinosa per l’Italia: l’inquinamento atmosferico. La Commissione Europea ci ha richiamati, per l’ennesima volta, insieme a Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, e questa volta la lettera di richiamo ha tutte le sembianze di un ultimatum.
L’Italia, da paese UE, è già stata condannata dalla Corte di Giustizia Europea per sforamenti nel 2006 e 2007, che non rispettavano la normativa di sforamento delle polveri sottili PM10 ed è ancora sotto procedura d’infrazione (dal 2015) per non essersi adeguata a normative del 2008. Le nuove infrazioni, invece, arriverebbero nel caso il nostro paese non rispettasse la nuova direttiva entrata in vigore il 31 dicembre 2016: da quel momento l’Italia non è mai stata sotto i limiti. La stretta della Commissione Europea di un anno fa riguarda biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili non metanici (COVNM), ammoniaca (NH3) e particolato fine (PM2,5).
Difficile capire come mai i nostri governanti non abbiano ancora preso provvedimenti a livello nazionale; è vero che la crisi riguarda in particolare la Pianura Padana, ma anche altre grandi città non sono da meno (Roma, Firenze e Napoli). In Italia, poi, la situazione è ancora più grave: contiamo circa 85/90mila morti premature all’anno a causa dell’aria inquinata, sul totale Ue di 460mila. Secondo uno studio dell’Enea, «Ente per le nuove tecnologie, energia e ambiente», l’Italia conta 1500 morti da inquinamento ogni milione di abitanti, staccando nettamente Germania (1100), Francia e GB (800) e Spagna (600).
Già un anno fa sembrava essere arrivato un ultimatum dal Commissario Europeo all’Ambiente, Karmenu Vella, che chiedeva una certa celerità nell’adeguarsi alle norme. In particolare dalla Commissione facevano sapere che le criticità in Veneto e Piemonte sono ampie, negli ultimi  dieci anni non ci sono state misure serie da parte delle Regioni e del Governo Italiano contro questo fenomeno; naturalmente il Piemonte ha maggiori difficoltà, essendo chiusa su tre lati dalle montagne, mentre al Veneto si imputava un immobilismo piuttosto inadeguato. È noto, inoltre, che l’Italia non ha solo il problema della Pianura Padana, ma è stata più volte richiamata anche per i casi Terra dei Fuochi in Campania e Ilva di Taranto.
Dopo la lettera arrivata tre giorni fa, il Ministro all’Ambiente Galletti non sembra aver dato troppo peso al richiamo: si è limitato a dire che può essere un punto di partenza per fare un bel lavoro di squadra, restando in contatto con l’Europa per riparare alle mancanze degli anni passati.
Notiamo però che nei programmi dei partiti, in particolare adesso che siamo in campagna elettorale, questo tema è sempre marginale, nonostante influisca per il 6-7% del totale della spesa sanitaria nazionale. Visto che l’ultima direttiva prevede di presentare un piano di interventi a lungo termine entro aprile 2019, sarebbe giusto che la politica prendesse coscienza del problema, senza aspettare i richiami o i momenti di emergenza, pensando a operazioni strutturali che risolvano il problema una volta per tutte.