Jobs Act: qualche spiegazione non rassicurante
Il Jobs Act da pochi giorni è ufficialmente in vigore. La nuova legge, nelle intenzioni del governo, dovrebbe incentivare le assunzioni a tempo indeterminato, perché prevede per l’imprenditore l’esonero contributivo e il taglio dell’Irap per i primi tre anni. A ben vedere però pare che sia stata istituita la figura del lavoratore «precario per sempre» vista la facilità con cui potrà essere licenziato per ragioni disciplinari o economiche e la cancellazione della possibilità di «reintegra», il cui campo di applicazione si riduce moltissimo anche nel primo caso quando resta possibile solo se in giudizio viene dimostrata l’insussistenza del contestato (per esempio l’azienda accusa di arrivare sempre in ritardo ma il cartellino dimostra che non è così). L’onere della prova è a carico del dipendente e anche se il giudice dovesse considerare la punizione «esagerata» non potrebbe disporre il rientro in azienda del lavoratore. E se invece si superano indenni i primi tre anni, cosa succede al dipendente alla scadenza delle agevolazioni? Può venir confermato con il contratto a tempo indeterminato, ma a tutele crescenti, che porterà a maggiori garanzie per il lavoratore solo dopo anni di ulteriore inserimento in azienda. Oppure andare incontro al licenziamento, anche collettivo con i colleghi assunti alle stesse condizioni. In caso di licenziamento è previsto un indennizzo economico che va da un massimo di 24 mensilità a un minimo di 4. L’importo massimo sarà di 1.300 euro mensili e sarà erogato soltanto per i tre mesi successivi alla fine del rapporto di lavoro. Dal quarto in poi scenderà progressivamente del 3% ogni trenta giorni. L’indennità chiamata «Naspi» (nuova assicurazione sociale per l’impiego) debutterà il prossimo primo maggio. Per usufruirne sarà necessario aver versato almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti e aver svolto almeno 30 giorni di lavoro nei 12 mesi che precedono l’inizio della disoccupazione. Queste regole riguardano solo i nuovi assunti.
Il governo prevede poi l’assunzione di tutti gli attuali co.co.co. e co.co.pro., ma chi ha fatto delle simulazioni sostiene che nonostante gli incentivi per il contratto a tutele crescenti, risultino meno onerosi per i committenti i voucher, visto anche l’innalzamento a 7 mila euro del tetto massimo di reddito così percepibile, oppure la partita Iva con cui l’imprenditore può risparmiare sui contributi Inps, sull’Irap e sugli strumenti di produzione che sono a carico del lavoratore. Anche per i lavoratori precari è prevista un’indennità di disoccupazione detta Dis-Coll per un massimo di 6 mesi.
Il terzo decreto attuativo del Jobs act esaminato in via preliminare dal Consiglio dei ministri prevede inoltre, anche per i vecchi contratti, la possibilità di demansionare i dipendenti e ridurre gli stipendi unilateralmente da parte del datore di lavoro per «modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore», formula che vuol dire tutto e niente e che è un presupposto tutto nelle mani dell’azienda. E grazie a un decreto del 2011 il lavoratore, in deroga alla legge, potrà perdere anche più di un livello di inquadramento. Il demansionamento potrebbe avvenire anche in senso orizzontale, magari inserendo il lavoratore in un settore in via di dismissione. E se il decreto facilita il declassamento del lavoratore, al tempo stesso ne rallenta il passaggio a un livello più alto, cosa che prima diventava definitiva dopo tre mesi di lavoro in quell’attività, adesso dopo sei.
Con il Jobs Act il lavoratore può essere convinto o indotto ad accettare livelli inferiori di tutela, sul piano delle mansioni ma anche della retribuzione, perché l’azienda può metterlo di fronte a un bivio, soprattutto nel caso dei neo assunti: o accetta le sue condizioni o sarà licenziato con un indennizzo di poche mensilità. Si aprono così le porte a possibili casi di mobbing legalizzato.
A mio modo di vedere non si prospettano tempi sereni per i lavoratori dipendenti: un ritardo, una parola fuori posto potranno diventare motivo di licenziamento. Diventerà un problema ammalarsi, assistere figli e familiari, chiedere permessi. C’ è chi obbietta che i datori di lavoro hanno tutto l’interesse a tenersi un bravo dipendente. Ma «bravo» è un giudizio soggettivo, che può cambiare nel tempo e comunque nemmeno gli imprenditori sono tutti bravi e la legge dovrebbe tutelare il lavoratore, che è il soggetto più debole, da quelli che non lo sono.
Inoltre, le banche concederanno mutui ai lavoratori con contratti a tutele crescenti? Il presidente dell’Abi non ha dato risposte certe a questa domanda.
Con il Jobs Act abbiamo detto addio all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, spero di sbagliarmi ma temo ci mancherà. E non mi tranquillizzano affatto le rassicurazioni dei “soloni» di turno: ricordate cosa rispondevano a chi temeva che l’innalzamento dell’età pensionabile avrebbe aumentato la disoccupazione giovanile? Rispondevano sciocchezze. E infatti si è visto.