Jo Cox, vittima di un sistema marcio

Il terribile omicidio della deputata laburista Joanne Cox, barbaramente uccisa perché favorevole alla permanenza del Regno Unito in Europa e all’accoglienza dei migranti, è il simbolo di una politica che ha intrapreso il funereo percorso della semplificazione di massa. Quando questo articolo viene scritto, non è ancora ufficialmente confermato che l’assassino prima di pugnalarla e spararle abbia gridato «Britain first!», prima l’Inghilterra, manifestando così il vero motivo del suo folle gesto.

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La semplificazione di massa, carattere distintivo dell’epoca della democratizzazione e della conseguente volgarizzazione della politica, è il tratto distintivo degli ultimi anni. Partendo dall’Inghilterra, dove il referendum per rimanere o uscire dall’Unione Europea sta assumendo ogni giorno sempre più toni oralmente violenti (e l’altro giorno anche fisicamente violenti), in tutto il mondo – si veda la strage omofoba di Orlando – si sta verificando una spirale di odio e di violenza per motivi «politici». Usiamo quest’ultimo termine per indicare atti non legati personalmente alle vittime, causati bensì da «idee» e da posizioni che non ci si sente di manifestare in altro modo.
La politica sta mostrando il suo lato peggiore, anche nel nostro paese: da una parte il cittadino comune si sente sempre più estraneo ai giochi di potere sui quali non si sente in grado di influire; dall’altra la classe dirigente offre al popolo una versione estremamente semplificata di ogni problema, così da accattivarsi l’opinione pubblica e utilizzarla a proprio vantaggio. Una situazione siffatta può portare a tre conseguenze: 1. il cittadino rifiuta questo modello paternalistico e antidemocratico, si informa e cerca di combattere il potere con le sue stesse armi; 2. il rifiuto viene contaminato dall’impotenza, quindi la persona comune non si sente in grado di fare qualcosa di veramente efficace con le parole e cerca metodi alternativi, spesso violenti; 3. il cittadino cede e si rifugia in una salvifica apatia.
È innegabile che la scelta fra questi tre comportamenti non sia dettata esclusivamente dal caso: i più istruiti si trovano in gran parte nel modello 1, coloro che covano già germi di violenza troveranno casa nel 2, mentre tutti quelli che – per problemi magari economici magari culturali – non hanno tempo e modo di dedicarsi alla politica (che dovrebbe comunque appartenere a ciascuno di noi) si gettano felici o meno nel numero 3.
Al di là di quelli che trovano nella lotta politica l’estremo sfogo delle proprie tendenze violente (e che non sono costretti da nessuno a farlo, quindi per ciò sono colpevoli), gli «apatici» non hanno molta scelta, e questa è una gravissima responsabilità del potere, che non può che essere felice di questa assenza di opinione pubblica. La svolta deve venire dai cittadini, stufi di essere sudditi, che cercano non il contentino del sovrano ma una sana e ruggente autonomia; questo, però, ancora per molto tempo non sarà possibile.