La fisica quantistica al servizio dell’informatica
Al giorno d’oggi si conoscono bene Internet, il web e il mondo delle chiavi di sicurezza, tuttavia la tecnologia potrebbe evolversi sempre più fino allo sviluppo di sistemi innovativi che permettano connessioni velocissime e sicure.
Gli strumenti usati dagli scienziati per procedere con l’innovazione sono quelli più inaspettati e derivano direttamente da una materia apparentemente distante dalla tecnologia del web, ovvero dalla fisica quantistica.
L’obiettivo è quello di riuscire a creare dei protocolli che, ispirandosi al comportamento di fotoni ed elettroni, siano in grado si istituire una rete internet e uno scambio di dati più sicuro e impenetrabile.
In primis la ricerca degli studiosi si è concentrata sul miglioramento della sicurezza, ambito in cui la meccanica quantistica ha già dato prova della propria affidabilità tramite alcune prove sperimentali.
Lo scopo è quello di riuscire a creare dei protocolli nei quali lo scambio dei dati tra utenti sia reso sicuro da chiavi crittografiche quantistiche.
Ma come può essere questo sistema a prova di hacker?
L’idea è nata grazie a Stephen Wiesner, fisico della Columbia University, che studiando il sistema quantistico basato sulla sovrapposizione di stati, ebbe l’intuizione di utilizzare il loro automatico collasso in caso di tentato accesso a tale sistema.
In parole più semplici, un sistema quantico come ad esempio un elettrone, si può trovare in più stati che possono essere sovrapposti uno ad uno nello stesso tempo. Questo concetto può essere intuibile se questa particella viene paragonata ad esempio ad una porta, che può avere due stati possibili, quello «aperto» o quello «chiuso». Secondo la meccanica quantistica, appena si tenta di accedere al sistema dell’elettrone per leggerne lo stato, ovvero mentre si va effettivamente a guardare se tale porta è «aperta o chiusa», tale sistema collassa e si autodistrugge.
Diventa intuibile capire come dunque, se si riuscisse a creare una chiave di sicurezza quantistica durante uno scambio di dati, questi file sarebbero automaticamente al sicuro, perché nell’istante in cui l’hacker tentasse di leggerli o accedervi, quest’ultimi si autodistruggerebbero.
Il primo esperimento che è stato svolto a sostegno di questa tesi risale al 1984 e porta la firma di Charles Bennet , informatico della Ibm, che è stato in grado di costruire questo tipo di sistema utilizzando la polarizzazione della luce. Bennet riuscì a sfruttare la diversa oscillazione delle onde elettromagnetiche per tentare di sfruttare le loro diverse direzioni per creare una chiave di crittografia sicura
Al giorno d’oggi tale sistema prende il nome di Qkd, ovvero Quantum Key Distribution, e costituisce la pietra miliare della nuova crittografia, che si serve dei protocolli classici per lo scambio effettivo dei messaggi, ma che sfrutta il «metodo Bennet» per riuscire a rendere il sistema a prova di hackeraggio.
Il secondo e importantissimo passo avanti nel percorso che sancisce la collaborazione tra informatica e fisica è costituito dalla creazione di una rete internet quantistica.
In questo caso il segreto per la riuscita dell’impresa risiede come sempre in un principio della fisica quantistica, l’entanglement.
Questo concetto, che può essere chiamato anche correlazione quantistica, si basa sul legame che esiste tra due o più particelle, che quando sono connesse tra loro forniscono l’importante proprietà di riuscire a «riflettersi» tra loro ad ogni misurazione effettuata.
Nella pratica ciò viene applicato in due possibili modalità.
Nel primo caso, come spiegato nella rivista Nature, la tecnica consiste nel creare due qubit, ovvero due bit quantistici, da fornire a due utenti che vogliono «comunicare» tra loro, e assieme a questi fornire anche altri due qubit che funzionino da intermediari. La rete viene create nel momento in cui il secondo utente, dopo aver ricevuto un messaggio per comunicare con il primo fa collassare il proprio bit di partenza sullo stesso stato in cui si trova l’utente con cui sta comunicando.
Il problema fondamentale di questo metodo è che risente della distanza e diventa evanescente dopo circa 100 chilometri.
Il secondo metodo è stato sperimentato dallo scienziato cinese Pan Jianwei, che è riuscito a utilizzare la tecnica attraverso la quale si inviano i segnali nello spazio, sfruttando l’atmosfera terrestre, per inviare un fotone da un satellite a due stazioni terrestri.
Le tecniche quantistiche stanno destando talmente tanto interesse da essere riuscite ad approdare in Italia. Lo studio di queste nuove opportunità risiede nel laboratorio Quantum Future all’Università degli studi di Padova, diretto da Giuseppe Vallone.
Gli scienziati hanno dimostrato dapprima la fattibilità della comunicazione quantistica satellitare e della creazione di un protocollo basato appunto sulla «fase dei fotoni» servendosi della collaborazione con l’Agenzia spaziale italiana, ed in seguito sono riusciti a creare un generatore quantistico di numeri casuali.
Tali scoperte mettono forse un primo punto sulla ricerca «informatico-quantistica» e questo generatore innovativo potrebbe essere in grado di migliorare moltissimo la sicurezza informatica, e persino creare chiavi invalicabili.
Tuttavia, in questo caso è necessario dimenticare lo scetticismo, giacché come dichiarato anche da Vallone
i protocolli di distribuzione di chiavi crittografiche quantistiche sono stati ampiamente dimostrati e utilizzati, e anche se per una rete internet quantistica c’è ancora un po’ da aspettare, da qui a dieci anni l’infrastruttura potrà vedere la luce.
Laureata all’Università di Padova Ingegneria Chimica e dei Materiali e laureata magistrale in Ingegneria Chimica (Susteinable Technologies and Biotechnologies for Energy and Materials) presso l’Almamater Studiorum Università di Bologna.
Scrivo per La Voce che Stecca dal 16 luglio 2015 e su queste pagine mi occupo di cultura, musica e sport, ma soprattutto di scienza, la mia passione.