La nazionale di calcio prenda esempio dagli altri sport per rilanciarsi
13 Novembre 2017. Quel giorno tutta Italia si svegliò con l’amaro in bocca, all’indomani del clamoroso pareggio con la Svezia che, unito alla sconfitta dell’andata, decretò l’esclusione dai Mondiali di calcio di Russia 2018. Il Commissario Tecnico Giampiero Ventura venne silurato immediatamente, mentre due mesi dopo anche Tavecchio, Presidente Figc, fece un passo indietro a cospetto di quel fallimento che si ripeté per la seconda volta nella storia.
Da quel momento si è parlato di «Punto zero» del calcio italiano, mentre qualcuno addirittura estendeva la definizione al ripensamento dell’organizzazione di tutte le discipline sportive italiane, imbalsamate in un modello organizzativo ormai obsoleto. La domanda delle successive settimane è stata solo una: come rendere competitivi i giovani sportivi italiani? Ci si è riempiti quindi la bocca di parole come «Cantera spagnola», «Squadra B», «Bisogna ripartire dalle scuole!» e via discorrendo. A due anni di distanza, però, si sono fatti ben pochi passi avanti.
La proposta più concreta, anche se ad oggi ben lungi dall’essere realizzata, è quella delle Squadre B: ogni grande squadra dovrebbe costruire una (o più) squadra di giovani che, invece di giocarsela insieme ai pari età nel campionato primavera, verrebbe inserita nei campionati minori (in Italia Serie C e Serie B) per farsi le ossa contro giocatori già esperti, proprio seguendo il modello spagnolo. Tra le difficoltà delle squadre italiane a imbastire questo tipo di progetti e le complicazioni organizzative, anche per quanto riguarda il regolamento (eventuali promozioni/retrocessioni), se ne sente parlare sempre meno.
A dirla tutta un format che funziona, proprio in Italia, esiste. Il movimento del volley italiano, sempre in crescita, per formare le giovani leve ha concretizzato la formula del «Club Italia»: sia nella categoria maschile che in quella femminile, vengono selezionati giovani italiani/e di talento, a formare una vera e propria nazionale giovanile che gioca costantemente insieme durante tutto l’anno. Il ruolo di gestione della squadra, quindi, non viene lasciato alle società, ma viene assunto direttamente dalla federazione; parte delle ragazze che ci hanno fatto sognare ai mondiali dell’ottobre scorso viene proprio da lì, con la squadra che attualmente è composta da atlete tra i 19 e i 24 anni. L’anno scorso si sono confrontate con le squadre della serie A2, arrivando a metà classifica; quest’anno invece sono state inserite addirittura in A1, vincendo la prima partita solo il 24 marzo scorso. I ragazzi, invece, militano tuttora in serie A2.
Altri buoni esempi italiani non mancano. Basti pensare ai recenti successi dei giovani atleti e atlete del nuoto o all’ormai tradizionale monopolio della scherma a livello internazionale. Un vantaggio di queste esperienze positive è che anche molti atleti stranieri di livello scelgono l’Italia e gli allenatori italiani, sia a livello di campionati (per gli sport di squadra) che per quanto riguarda gli allenamenti (negli sport singoli), creando un vero e proprio circolo virtuoso di crescita e di sana competitività.
Le ultime due partite della Nazionale di calcio, anche se contro squadre modeste, fanno ben sperare, considerando anche i giovani promettenti che stanno emergendo. La rivoluzione tanto proclamata, però, stenta a decollare e per questo ci uniamo all’appello che arriva ormai da molte parti. Gli esempi da seguire, come abbiamo visto, non mancano.
Nato a Padova il 15 giugno 1994.
Diplomato in ragioneria, attualmente iscritto alla triennale di Ingegneria dell’Energia nella mia città.
Sono una persona curiosa in molti i campi, dalle nuove tecnologie, in particolare quelle che riguardano l’ambiente, alla politica, passando per lo sport.