La strage di Pizzolungo
Il procuratore Carlo Palermo arriva in Sicilia in un momento storico in cui la protezione dei magistrati che si battevano contro la mafia non era una priorità. A fare le spese di una politica miope e a volte complice, saranno una giovane donna e i suoi due bambini, che quel 2 aprile 1985, a Pizzolungo, si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Facciamo un passo indietro: Carlo Palermo arriva a Trapani il 15 febbraio 1985. Inizialmente, alloggia nella base militare di Birgi, dove è ben protetto. Nemmeno il tempo di prendere possesso del suo nuovo ufficio, che iniziano ad arrivare i primi messaggi minatori. Dopo poche settimane viene comunicato al magistrato che deve trovarsi un altro alloggio. Palermo è così costretto a trovare una nuova sistemazione in fretta e la scelta ricade su una villetta a Bonagia, frazione del comune di Valderice.
La nuova sistemazione
«Carlo Palermo abitava vicino casa mia, in una zona di villeggiatura senza illuminazione pubblica e poco popolata fuori stagione», ci racconta Gianfranco Criscenti, giornalista trapanese di lunga esperienza e amico di Carlo Palermo, che aggiunge: «Spesso la sera portava a passeggio i cani da solo. Mi aveva confidato che aveva iniziato a ricevere minacce fin dal primo giorno».
Il tragitto verso il Palazzo di Giustizia diventa fonte di preoccupazione: una sola strada breve passa tra la nuova abitazione di Carlo Palermo e la procura, mentre dall’aeroporto di Birgi i possibili percorsi erano tre e si potevano alternare ogni giorno, per questioni di sicurezza. Come se non bastasse, non si possono utilizzare le sirene, per non disturbare i residenti.
Il giorno dell’attentato
La via in questione è una litoranea che dà sul mare e passa per Pizzolungo, frazione di Erice. Il 2 aprile 1985, Cosa Nostra cerca di uccidere il magistrato con un’autobomba piazzata sulla strada che Palermo e la sua scorta percorrono ogni mattina, in prossimità di una curva. Accanto alla macchina parcheggiata, che sarebbe esplosa di lì a poco, c’è un’altra vettura, che in quell’attimo viene superata dall’autista di Carlo Palermo. Proprio quel giorno, il procuratore si era seduto sul sedile posteriore perché la portiera davanti non si chiudeva bene.
Quando avviene l’esplosione quell’auto appena sorpassata, dove viaggiavano una mamma e i suoi due bambini di 6 anni, viene disintegrata. Dei corpi di Barbara Rizzo, che stava accompagnando a scuola i due fratellini Giuseppe e Salvatore Asta, non rimangono che brandelli e un’enorme macchia di sangue sulla facciata di un palazzo.
«Chi ha azionato l’ordigno sapeva che sarebbero morti degli innocenti», ci racconta Criscenti, «In curva l’auto del magistrato era costretta a rallentare e non poteva superare una certa velocità. Chi ha azionato la bomba doveva essersi appostato sul lato sud della strada per avere la visuale della strada».
Due uomini della scorta, Antonio Ruggirello e Salvatore La Porta rimangono gravemente feriti. Il magistrato invece ne esce illeso, anche se inizia ad avere problemi all’olfatto e all’udito che permangono ancora oggi.
Il processo
Per la strage di Pizzolungo vengono condannati in via definitiva i boss di Cosa Nostra, Salvatore Riina e Vincenzo Virga. Mentre, secondo evidenze emerse durante i processi ai due boss, gli esecutori furono Nino Madonia e Balduccio di Maggio, condannati in primo grado e assolti in appello e in Cassazione perché, secondo Gabriele Paci, ex procuratore aggiunto di Caltanissetta, «i giudici lessero male le carte». Recentemente è stato condannato in qualità di mandante dell’attentato anche il boss Vincenzo Galatolo.
Secondo Gianfranco Criscenti, «la mafia ha avuto un ruolo ma i mandanti della strage, nonostante ciò che dicono i processi, potrebbero non essere solo boss mafiosi. Per sapere la verità bisognerebbe togliere il segreto di Stato dai documenti».
Supervisione giornalistica: Tito Borsa
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