La televisione commerciale e la neotv
Dopo aver sviluppato il discorso sul modello educativo delle origini nel precedente articolo, seguendo una dinamica cronologica, andiamo a trattare il modello delle televisioni commerciali.
Il cambiamento di modello portò un ribaltamento del rapporto tra televisione e il suo pubblico. Mentre in precedenza si considerò il pubblico come una massa da guidare, formare ed educare, successivamente si ebbe un totale cambio di paradigma, con un ragionamento sotto forma di scambio.
Per poter sostenere i costi di una televisione commerciale serve attrarre i capitali derivanti dagli spazi pubblicitari. In quest’ottica il pubblico rappresentò il mezzo appetibile per gli inserzionisti, in quanto la pubblicità ottenuta è direttamente proporzionale con l’audience generato dall’emittente televisiva.
Per questa motivazione, per aumentare l’audience la televisione abbassò il livello linguistico, in maniera tale che si potesse raggiungere un numero maggiore di telespettatori. Si semplificarono i programmi, in quanto destinati a un target più basso rispetto al modello educativo delle origini, che si rivolgeva a un interlocutore medio borghese.
Attraverso un parallelismo possiamo rifarci al modello urbanistico per riproporre la dinamica dell’audience del periodo: dal pubblico del centro storico, acculturato e con gusti di nicchia, si ebbe un’espansione verso le periferie, per aumentare il numero di telespettatori e, quindi, di possibili compratori per i prodotti degli inserzionisti pubblicitari.
La televisione commerciale abbraccia il concetto di neotelevisione.
Attraverso questo neologismo coniato da Umberto Eco nel 1983, s’intende riferirsi a un modello di televisione sviluppato negli anni ’70 negli USA e arrivato in Italia all’inizio degli anni ’80. A questa rivoluzione parteciparono alcuni fattori fondamentali: la nascita del telecomando e del videoregistratore, l’aumento dei televisori nelle case degli italiani, l’avvento della copertura televisiva 24 ore su 24 e, in ultimo, una televisione che acquisiva al proprio interno strumenti interattivi come il televideo.
La neotelevisione fu un il modello dello zapping, della visione distratta. Una televisione che parlò sempre di meno del mondo esterno per concentrarsi sul proprio mondo, promosso, autoreferenziale, creatore di divi.
La televisione non si presentò esclusivamente come strumento d’informazione e approfondimento, ma aprì le sue porte mostrandosi alla pari con la propria massa di interlocutori. Nacque lo spettatore che interviene da casa, che partecipa a specifici concorsi a premi e che, in sintesi, può interagire col mondo televisivo. Si aprirono le porte al fuoricampo, al dietro le quinte fino a quel momento rimasto segreto: ciak errati, inquadrature dei cameraman, apertura alla visione dei fuori onda.
Uno dei generi fondamentali della neotelevisione fu la “TV verità”, figlio della Raitre che ebbe il coraggio di aprirsi al mondo della strada, per rappresentare la realtà così com’era. Per la prima volta la televisione mostrava se stessa nel momento in cui raccontava i fatti, come nel format «Chi l’ha visto?». Una televisione figlia del direttore Guglielmi e del suo riferimento a Pier Paolo Pasolini «raccontare la realtà attraverso la realtà».
Simone, ventottenne sardo, ha vagato in giovanissima età per il Piemonte, per poi far ritorno nell’isola che lo richiamava. Ama scrivere su tematiche politiche ed economiche. Legge per limitare la sua ignoranza.