La vera essenza del distorto concetto di meritocrazia
Nella perenne e disperata ricerca del lavoro, duraturo o temporaneo che sia, non è infrequente imbattersi in imprese e datori di lavoro che spesso si fregiano del valore della meritocrazia come parametro fondante nella scelta del loro personale. Parametro che, tuttavia, viene da loro inteso nella nuova e positiva accezione del termine e non in quella negativa, così come originariamente era stato pensato.
Per Wikipedia il concetto di «meritocrazia» è da intendersi come: «Un sistema di valutazione e valorizzazione degli individui, basato esclusivamente sul riconoscimento del loro merito». Nondimeno quando, nel 1958, il sociologo britannico Michael Young pubblicava il suo libro «Rise of the Meritocracy», il suo obiettivo non era quello di far emergere la correttezza di questo meccanismo, quanto tutta la sua negatività e l’assenza di autentica uguaglianza. Nella sua opera egli delineava un potenziale futuro distopico in cui la posizione sociale di ogni individuo sarebbe stata determinata dal suo quoziente intellettivo e dalla sua capacità di produrre e lavorare.
Per anni Young, attraverso articoli e innumerevoli interventi, ha tentato, inutilmente, di far comprendere la vera essenza del termine «meritocrazia», oggi baluardo di serietà, oggettività, giustizia e moralità per le imprese private e pubbliche in cerca di nuovi dipendenti.
Torniamo però alle imprese. Per raccontare la nostra storia e per cercare di capire ancora meglio quanto di questo termine oggi, spesso, si abusi e se ne faccia un uso improprio abbiamo bisogno di cinque aspiranti lavoratori. Abbiamo un ragazzo con un’esperienza di un anno nel settore della logistica che si candida per una posizione di magazziniere, una laureata in psicologia del lavoro con anni di tirocini non retribuiti alle spalle che si candida come responsabile alle risorse umane, una neodiplomata senza esperienze lavorative pregresse e infine un ragazzo con un anno di esperienza di back office.
Ora, che cosa accadrebbe se l’impresa, nel tentativo di perseguire il principio di meritocrazia alle estreme conseguenze, suggerisse loro che, al di là delle conoscenze maturate o non, al di là del ruolo per il quale si erano candidati e al di là della formazione pregressa, cominceranno il loro percorso in azienda come venditori porta a porta perché: «Si inizia tutti dal basso in quanto è un sistema più meritocratico»? Viene detto loro che vincerà e verrà assunto, alla fine del periodo di prova, soltanto colei o colui che riuscirà a vendere dieci pezzi del prodotto entro i due mesi. Inoltre sarà comunicato loro che non sarà necessario avere esperienze pregresse nel settore della logistica per occuparsi del magazzino, come non sarà necessario avere una laurea in psicologia del lavoro per occuparsi delle risorse umane. Tutti, alla fine dei mesi di prova, dopo aver dimostrato di saper vendere, potranno diventare tutto ciò che vorranno. Ebbene, questo sistema potrebbe definirsi meritocratico?
Da un lato si potrebbe suggerire che, annullando le esperienze lavorative precedenti o la formazione accademica particolare di ognuno, in questo modo, si annullerebbero quelle disuguaglianze economiche e sociali tra coloro che avrebbero avuto modo di frequentare l’università e coloro che non l’avrebbero potuta frequentare. Dall’altro lato, tuttavia, si potrebbe opinare sulla validità di un sistema fondato sul principio della tabula rasa e sull’annullamento delle fatiche e degli sforzi passati di ciascuno, in nome di una utopica ricerca dell’uguaglianza. Uguaglianza peraltro tanto irraggiungibile quanto di dubbia sincerità e che parrebbe più volta ad un meccanismo di guadagni e fidelizzazione verso l’impresa, da parte del futuro dipendente, che di autentico merito operato durante la selezione.
Dunque, se anche ormai ci fossimo abituati alla versione impropria ed edulcorata del termine «meritocrazia», sarebbe peraltro opportuno smettere di accettare gli effetti che l’uso scorretto di questa parola produce sulle persone in cerca di occupazione e che così facilmente si piega agli interessi, talvolta disonesti, di alcune realtà imprenditoriali che, dietro i criteri di selezione meritocratica, nascondono intenti ingannevoli.