La Welwitschia mirabilis, pianta immortale
Come ci insegnano libri e poesie, l’uomo è sempre stato ossessionato dalla morte. Sin dalle ere del tempo in cui si registrano storie di dei ed eroi, fino alla più comune delle favole come quella di Dracula e i suoi vampiri, l’uomo ha sempre sognato di essere immortale.
Ora, dalle ultime notizie, gli scienziati sono stati in grado di trovare un essere vivente che è davvero immortale. Purtroppo, non si sta parlando né di un animale, né di un uomo ma di una pianta.
La Welwitschia mirabilis, una pianta a cui è stato dato il nome del botanico austriaco che l’ha scoperta, è un vegetale che è in grado di vivere nelle lande desolate e aspre del deserto del Namib. Questa landa desolata, che parte dalla Namibia e arriva sino alla Repubblica Sudafricana, è considerata come uno dei posti più estremi ed inospitali del pianeta.
In questo luogo desertico vive la Welwitschia mirabilis, una pianta che possiede la capacità di vivere per sempre e che infatti viene denominata dagli abitanti locali come «due foglie non possono morire».
La sua capacità conclamata di poter vivere nel deserto per migliaia di anni proviene dal genoma genetico di questo vegetale.
Ma non è solamente il DNA ad aver aiutato questa «carota desertica» a sopravvivere, ma anche la sua struttura, formata la radici molto lunghe e profonde e, appunto, solamente da due foglie.
Oltre a sopravvivere, questa pianta fa di più, continua continuamente a crescere pur dovendosi adattare ad un luogo così impervio. Le specie presenti oggi crescono e vivono ininterrottamente dall’Età del Ferro.
Questo arbusto ha impensierito anche il famoso genetista Charles Darwin, che si è posto la consueta domanda: qual è la causa di questa resilienza al deserto? È una questione di generica o di evoluzione?
La domanda sembra aver trovato risposta dopo tutti questi anni grazie a ricercatori del Fairy Lake Botanical Garden di Shenzhen, in Cina, che hanno trovato la soluzione analizzando il DNA della pianta.
Secondo lo studio pubblicato su Nature Communications, la longevità sarebbe dovuta ad un errore genetico che l’arbusto avrebbe commesso durante la divisione cellulare.
Già da anni si parla dell’ipotesi secondo la quale la vecchiaia nell’uomo sia portata da alcuni errori nella riproduzione del DNA che vengono accumulati negli anni e non corretti autonomamente ed efficacemente come accade a chi è in giovane età.
Anche in questo caso, sostiene Tao Wan, autore principale dello studio, la motivazione sembra correlata a questo ambito, dato che «circa 86 milioni di anni fa, a seguito di un errore nella divisione cellulare, l’intero genoma di Welwitschia è raddoppiato, proprio in coincidenza con un periodo di maggiore aridità nella regione».
Secondo i ricercatori, questo errore genetico associato allo stress richiesto per la riparazione degli errori genetici ha contribuito a caratterizzare le performance della «pianta immortale».
Dunque perché questa ricerca e questa pianta sono così importanti e fondamentali?
Perché potrebbero aprire una finestra a nuove culture rafforzate e resistenti e perché potrebbe contribuire a spiegare ulteriormente i fenomeni genetici e la loro correlazione con la vecchiaia.
Laureata all’Università di Padova Ingegneria Chimica e dei Materiali e laureata magistrale in Ingegneria Chimica (Susteinable Technologies and Biotechnologies for Energy and Materials) presso l’Almamater Studiorum Università di Bologna.
Scrivo per La Voce che Stecca dal 16 luglio 2015 e su queste pagine mi occupo di cultura, musica e sport, ma soprattutto di scienza, la mia passione.