L’acqua dolce scarseggia, ma la si può creare
Vi è un problema su cui quasi nessuno si sofferma: la mancanza di acqua dolce e il conseguente bisogno di crearne.
Infatti, come evidenziato anche dal reportage andato in onda a Piazzapulita il 20 settembre 2018, vi sono luoghi al mondo come il Somaliland dove non vi è nemmeno una goccia d’acqua a causa dell’improvvisa desertificazione di questi ultimi decenni e nei quali, per questa mancanza, vi sono persone che vivono al limite della sopravvivenza.
La soluzione principale su cui si sta puntando è la desalinizzazione delle acque del mare. Tale innovazione trova applicazione soprattutto in Medio oriente e nord Africa e, secondo quanto emerso da uno studio Onu risalente al dicembre 2018, è in grado di produrre potenzialmente fino a 95 miliardi di litri al giorno contro un fabbisogno giornaliero di 628.000 litri d’acqua all’anno per persona.
Tuttavia, la tecnica della desalinizzazione ha evidenziato negli ultimi studi alcuni punti deboli, tra i quali vari costi che giocano a sfavore dell’innovazione.
In primis, occorre tenere conto dell’alto esborso economico che, per almeno al momento, tali sistemi comportano, soprattutto a causa delle grandi quantità di energia elettrica spese. In secondo luogo, è importante considerare lo scarto del processo, che porta con sé assieme ai 95 miliardi di acqua dolce anche 142 milioni di metri cubi di salamoia ipersalina al giorno, ovvero secondo un’analisi condotta dalla Fao, nel Medio oriente verrebbe prodotta una quantità di salamoia fino a quattro volte più alta della quantità di acqua guadagnata.
Il problema è che tali scarti sono pericolosi alla stregua di quelli industriali che inquinano il nostro pianeta.
Una possibile soluzione a questi problemi potrebbe arrivare direttamente dall’Italia.
Un gruppo di ricercatori del Politecnico di Torino ha cercato di trovare un metodo per svolgere una desalinizzazione delle acque a base di energia solare e materiali economici e che non necessita nemmeno di alcuna manodopera.
Gli studiosi di Torino hanno cercato di migliorare i punti cruciali di questa tecnica, sviluppando un processo basato su una serie di evaporazioni a cascata, che è in grado di separare tramite l’evaporazione l’acqua e il sale.
La separazione avviene grazie a delle membrane particolari a base di zeolite, ovvero un minerale formato da silicati e utilizzato in gran parte per i processi di adsorbimento chimico, tramite una rete di pori contenuti nella zeolite che trattengono il sale.
I ricercatori sono riusciti ad ottenere 20 litri d’acqua potabile al giorno, grazie a questo sistema supportato da un’alimentazione a base di energia solare.
I ricercatori Matteo Fasano e Matteo Forciano hanno esplicato che «il sistema galleggiante è capace di assorbire l’acqua marina tramite l’utilizzo di materiali porosi low cost, evitando l’impiego di costose pompe» e «l’acqua stoccata è poi scaldata dall’energia solare che contribuisce alla separazione del sale durante l’evaporazione». Infatti, come hanno poi precisato che «il processo è facilitato dall’inserimento di membrane che evitano il rimescolamento tra l’acqua marina e quella divenuta potabile, proprio come avviene per alcune piante capaci di sopravvivere in ambienti marini».
L’Italia si è saputa contraddistinguere ancora per la genialità e l’intraprendenza dei suoi ricercatori. La cosa più importante è che il prototipo torinese potrebbe un giorno riuscire a risolvere i problemi legati alla desalinizzazione e riuscire a contribuire a incrementare la disponibilità di acqua potabile nel mondo.
Laureata all’Università di Padova Ingegneria Chimica e dei Materiali e laureata magistrale in Ingegneria Chimica (Susteinable Technologies and Biotechnologies for Energy and Materials) presso l’Almamater Studiorum Università di Bologna.
Scrivo per La Voce che Stecca dal 16 luglio 2015 e su queste pagine mi occupo di cultura, musica e sport, ma soprattutto di scienza, la mia passione.