«L’Affaire Somalia-Romanzo di una strage»: perché leggerlo

«L’Affaire Somalia-Romanzo di una strage» (edito da YouCanPrint), il secondo libro di Tito Borsa, è un’opera giornalistica spiazzante per molti versi. Innanzitutto a mio parere il focus non è tanto la seconda parte della guerra civile somala (come dichiarato nell’introduzione) quanto l’omicidio Alpi-Hvratin nel marzo 1994 con tutto il marciume che c’è dietro.

Indagare sulla morte irrisolta di una giornalista non è mai semplice, spesso mette l’indagante di fronte a questioni più grandi di lui e ci si trova a dover fare i conti con l’impotenza di non arrivare mai al mandante. Me ne sono resa conto lavorando sulla vicenda, diversa eppure talmente simile, di Anna Politkovskaja, ma la mia era una tesi di storia, non avevo la stessa libertà di manovra di Tito. Lo stile è quello schietto e senza peli sulla penna cui lui ci ha sempre abituato in tutti suoi articoli, ma -paradossalmente- è proprio questa chiarezza a lasciare il lettore confuso.

Troppi personaggi, ognuno con la propria storia, si accalcano sulla scena italo-somala (a tratti molto più italiana che africana), costringendo chi legge senza sapere nulla a tornare indietro di qualche pagina per ripescare nel testo nomi e cognomi. Metterei una lista personaggi alla fine del testo, da consultare ad ogni evenienza come si consulterebbero le casate nobiliari del Trono di Spade. Tito Borsa ha davvero scomodato molte persone per scriverlo, persone che non sempre volevano essere scomodate.

Non tutte le volte ha utilizzato fonti sicure, bisogna dirlo, ma il lettore è avvisato di prendere con le pinze certe dichiarazioni. Del resto, era impossibile lavorare diversamente, data la natura oscura della vicenda. Per contro, ha anche usato fonti di tutto rispetto, aveva a disposizione l’Archivio della Commissione Parlamentare, istituita per far chiarezza sull’omicidio della giornalista e del suo operatore. Quella delle fonti è una questione spinosa: per esempio capita che la dichiarazione di una persona venga giudicata attendibile da una parte e assolutamente falsa dall’altra.

Il libro non solo indaga sull’omicidio, ma soprattutto sul legame (più forte di quanto si pensi) fra Italia e Somalia, senza risparmiare critiche a nessuno, nemmeno al presidente Pertini. Ogni pagina è percorsa da un interrogativo, che diventa quasi opprimente: che fine fanno i soldi per la cooperazione internazionale? Riescono sempre a finanziare progetti umanitari o, talvolta, ingrossano il portafoglio di qualche dittatore, aggravando la situazione dei paesi cui sono destinati?
Per me, la cooperazione internazionale è un pilastro della civiltà, ma questo non significa non porsi queste domande. Oltre agli aiuti governativi c’erano (e ci sono) altre connessioni che legavano Italia e Somalia, sui cui la Alpi stava investigando: traffici di droga, armi, organi umani, fra cui anche placente. La giornalista Patrizia Volpin rivela che molte donne somale sono state costrette ad abortire per poter rivendere le loro placente.

Proprio venendo a conoscenza della biografia della Volpin e del suo collega Iuri Pevere, Tito Borsa ha pian piano scoperto la Somalia in una ricerca cominciata ormai quasi due anni fa. “Non è stata una scelta” mi dice. Una ricerca complessa, che alla fine lascia più domande che risposte. Ilaria non riposa in pace e nemmeno la Somalia può dirsi in pace. Ringrazio Tito per aver cercato, per quanto giornalisticamente possibile, di illuminare la situazione e considero 20 euro (il prezzo di copertina) più che adeguato per questo sforzo. Consiglio “L’Affaire Somalia” non tanto per capire la Somalia (alla fine del libro ero più confusa di prima) quanto per capire l’Italia e i suoi personaggi, improbabili ma veri. Consiglio anche il primo libro del nostro ex direttore: una storia di fascisti in Etiopia, approfondimento della sua tesi di laurea.

Dopo la lettura consiglio ulteriori approfondimenti, per chi fosse interessato: per esempio mi piacerebbe sapere come sono i rapporti italo-somali ora, come si sono evoluti fino ad oggi, visto che il libro non mi è sembrato chiaro su questo punto. E poi ognuno dei quattro moschettieri (che scoprirete leggendo) meriterebbe un libro a sé.
Consiglio inoltre a Tito di cimentarsi nella scrittura di un romanzo giallo, magari con una trama di spionaggio, visto che ormai i servizi segreti italiani (cui è dedicata una considerevole fetta del libro) non hanno più segreti per lui.

 

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